Riappropriarsi del tempo. Camminare salendo piano e fermarsi, solo qualche secondo, ad ascoltare il silenzio del nulla. E poi, piano, ricominciare a muoversi. Fermarsi di nuovo a pensare, parlarsi e rispondersi, ritrovandosi. Stendersi poi sulla terra, sull’erba e stando giù cambiare la prospettiva e guardare tutto da un altro luogo. Stendersi ed aprire il sipario su piccole foglie argentate e tremolanti. E stesi così rinascere dalla terra con gli occhi rivolti altrove, su, per incontrarsi in modo nuovo. Arrampicarsi, aggrapparsi sudando ed ansimando sentire il respiro caldo e vivo. Ansimare in modo naturale e ritmico in sincronia con tutto il resto. E poi fermarsi di nuovo. Mangiare e sentire sapori nuovi. Gli stessi colori, le stesse rotondità, questa volta vive, entrare lentamente e finalmente essere accolte e riconosciute come amiche. Mangiare rispettando ogni piccolo pezzo, mangiare mordendo piano, lasciare alla bocca tempo e spazio per esplorare ed assimilare, viva, ciò che è vita. E poi ricominciare a camminare riscaldati dagli scarponi sporchi di terra, pregni di fango e di vita, umidi di memoria e di emozioni. Lasciarli andare liberi e sporchi, lasciarli scivolare sulla crema nocciolata delle zolle in cima ad una collina fleshiata dall’oro metallico. Camminare fino a quando le luci appaiono ormai lontane, il tramonto riparato, ed i passi riecheggiano nel silenzio e nell’oscurità che è un’oscurità che non minaccia. Tutto senza fretta, assolutamente senza uno scopo, nemmeno quello di arrivare. Lentamente e dolcemente. Ma cosa vai a fare? Cammino dentro. Ed è bellissimo