Cosa può insegnarci Ötzi sull’escursionismo?

Molti conoscono la Mummia del Similaun (amichevolmente chiamata Ötzi) come una delle più sensazionali scoperte archeologiche e antropologiche degli ultimi decenni. La mummia di un uomo probabilmente dell’età del Rame (3300 – 3100 a.C.) perfettamente conservata tra i ghiacci al confine tra Italia e Austria. All’epoca fece molto scalpore e vi fu un’aspra disputa tra le due nazioni su chi avesse titolarità della scoperta. Ovviamente il nostro amico non era né italiano né austriaco e probabilmente non aveva neppure lontanamente idea di cosa potesse essere una nazione, ma tant’è, alla fine il corpo venne definitivamente conservato al Museo di Bolzano. Studi successivi stabilirono l’età, la causa della morte, addirittura qual’era stato il suo ultimo pasto, di quali patologie soffriva e un’infinita serie di altre importanti informazioni che ci hanno aiutato a capire meglio il tempo e il mondo in cui era vissuto. Per inciso aveva una punta di freccia infilata nella schiena (probabile causa della morte), aveva mangiato carne di stambecco e soffriva di artrite e altre patologie. Da ricerche recenti è stato anche messo in luce che il DNA del nostro amico non corrisponde più al nostro, riscontrando una certa somiglianza con il DNA degli abitanti della Sardegna. Insomma la sua famiglia si è estinta. A trovarlo furono (e non è un caso, visto quello di cui stiamo parlando) una coppia di escursionisti austriaci, proprio a cavallo del confine in un luogo aspro e inospitale a oltre 3000 metri di quota. Ma cosa ci faceva lì? Ovviamente stava tentando di attraversare le Alpi, altrettanto ovviamente lo stava facendo a piedi, probabilmente braccato da qualcuno che lo ha poi ucciso. Stiamo evidentemente parlando di un uomo che era in cammino da giorni, in una natura ostile. Cosa può insegnarci una mummia di 3000 anni fa sull’escursionismo? Al di là di tutto ciò che può farci sapere sul suo tempo (materia che lascio agli specialisti), la sua storia mi ha fatto sorgere alcune considerazioni.

Innanzi tutto l’equipaggiamento. Accanto alla mummia fu rinvenuto tutto l’equipaggiamento completo con cui viaggiava. Ötzi vestiva un cappello di pelliccia d’orso e un mantello di pelle di capra. Aveva con sé un arco di tasso, un’ascia di rame con manico in tasso, un coltello di legno e selce, un contenitore di corteccia di betulla. Probabilmente, a parte l’ascia di rame, tutto il resto era stato autoprodotto. Troppe persone che mi capita di incontrare in montagna danno per scontato che sia sufficiente affidarsi ad abbigliamento tecnico e materiale costoso per affrontare l’ambiente naturale. Sebbene un adeguato equipaggiamento sia fondamentale per muoversi in natura, dovremmo sempre tenere a mente che il fattore principale per la nostra sicurezza è la conoscenza. Conoscere l’ambiente, i rischi e le possibilità. Avere dimestichezza con il territorio, saper affrontare gli imprevisti con ciò che si ha a disposizione, saper valutare distanze, difficoltà e impegno necessario sono le chiavi che nessun abito griffato potrà mai sostituire. Per questo se pensiamo di spostarci in ambiente da soli è necessario avere assoluta certezza di possedere le conoscenze necessarie (o avere il buon senso di affidarsi ad un professionista). Ötzi non aveva con sé nulla di ciò che oggi possiamo trovare in un negozio specializzato (soprattutto per ciò che concerne l’abbigliamento) ma è evidente che possedeva le risorse necessarie per muoversi in autonomia nell’ambiente naturale. E’ morto perché non stava simpatico a qualcuno, non di fame, freddo, stenti o perché si era perso.

Tra il suo equipaggiamento sono stati trovati anche frammenti di fungo esca. Si tratta di un fungo abbastanza comune nei boschi, parassita degli alberi (ad esempio il faggio) famoso per le sue molte doti. Il suo nome deriva dalla più importante di queste: la parte interna scura prende fuoco con grande facilità e brucia a lungo senza fiamma, è quindi ideale come esca per accendere il fuoco. Ma il fungo è noto anche per la sua capacità antisettica e, secondo alcuni, per le proprietà allucinogene. Da qui un lungo dibattito su cosa ci facesse in fin dei conti il nostro fuggiasco con questa scorta. Accendere il fuoco? Medicarsi? O forse era uno sciamano e se ne serviva per i suoi “viaggi”? Qui a mio parere entra in gioco una mentalità tipica della nostra epoca iperspecializzata. Tutto ha una specifica funzione ed un uso esclusivo. Anche le persone hanno un lavoro determinato. Probabilmente quel fungo, al contrario, serviva a tutte le funzioni immaginate (e magari altre che abbiamo dimenticato) perché la rigidità con la quale assegniamo caratteristiche e funzioni agli oggetti è tipica dei nostri tempi e non è affatto scontato che le cose siano sempre andate così. Camminare e solcare sentieri può servire anche a questo, farci riscoprire il valore dell’essenziale, del poco che serve a molto. Chi viaggia a piedi sa bene quanto sia vitale scegliere ciò che si carica nello zaino, quanto la morale della montagna sia diametralmente opposta alla filosofia dell’usa e getta. In questo senso l’esempio che ci viene da 3000 anni fa è sempre una questione di scelta che noi operiamo ogni volta decidiamo di prendere lo zaino e camminare, non importa se per un giorno o per un anno, non importa se siamo guide, neofiti o vagabondi, quello che ci accomuna è la ricerca dell’essenziale, della leggerezza dello spirito, della libertà dal peso di cui la vita di tutti i giorni ci carica. E bello camminare nel verde, riappacifica con noi stessi, ma è forse il senso di libertà e di leggerezza che ci rende tutti, in fondo, figli del cammino.

Un’ultima considerazione. Spesso vedo persone giovani e meno giovani scuotere la testa quando incontrano ragazzi su sentieri o per strada che sfoggiano tatuaggi, come esempio dei tempi di decadenza morale che stiamo vivendo. Il nostro amico Ötzi, vissuto 3000 anni fa aveva sul corpo la bellezza di 61 tatuaggi; forse per motivi curativi, forse religiosi, forse estetici, forse non lo sapremo mai e di sicuro ha poca importanza, ma era veramente un teppista.