Balene & co.
Si fa presto a dire mare. Ma quel bellissimo blu non è solo spiaggia e vacanza. Un tuffo ed attraversiamo il confine per un altro mondo. Una nuova dimensione fatta di suoni ovattati (almeno per noi umani) e riflessi deviati della luce che filtra. Ma andando sempre più giù, “nel blu” come dicono i divers, i subacquei, ecco che il mondo cambia ancora. E’ il regno del mistero e della paura. Noi piccoli respiratori di ossigeno ci sentiamo estasiati dalla bellezza di questo mondo. E intimoriti dalla sua immensità, dal pericolo che l’acqua costituisce per noi.
Eppure non fai a tempo a guardare di qui e di là che le mille forme argentee e colorate, strisce blu e striscette gialle, macchie rosse e punti neri, saettano in ogni dove. E’ il regno dei pesci, si sa. Manca solo Nettuno coi suoi delfini. Già i nostri cugini delfini. Cetacei, appunto. Mammiferi marini che son tornati all’acqua dopo essersi adattati a respirare aria.
Non ci crederesti, se non perché lo san tutti, che quei “pesci” veloci ed allegri son mammiferi. Già fanno figli vivi come noi e come noi ridono e soffrono respirando ossigeno.
Con il nome cetacei, dal greco ketus (mostro marino) e dal latino cetus (grande animale marino), si identifica quel gruppo di animali i cui rappresentanti più significativi sono le balene e i delfini. I loro nomi scientifici ci parlano di mari misteriosi e di uomini aggrappati a gusci di noce in balia delle onde. Oggi, dopo averli quasi sterminati in tutto il pianeta, studiamo ed amiamo i cetacei come gli animali a noi più affini, insieme alle scimmie.
Grassi e sgraziati a terra, i cetacei divengono padroni assoluti delle acque. Appartenenti alla classe dei mammiferi discendono dai primitivi Mesonichidae, una famiglia di ungulati (gruppo delle mucche e simili), che avevano le dimensioni di un cane e vivevano sulle rive della Tetide, il mare e la terra primordiale.
Ma non tutti i cetacei sono uguali. Ci sono i misticeti, muniti di fanoni, una sorta di grandi filtri per l’aria, e quello degli odontoceti, dotati di denti. Due differenze che sono determinate dall’adozione di due strategie alimentari diverse. I misticeti, infatti, grazie alle dimensioni, alla conseguente enorme cavità boccale e alla presenza dei fanoni, che sono lamine sottili che pendono dalla bocca, si alimentano di piccole prede filtrando l’acqua di mare. Gli odontoceti invece, localizzano le prede grazie a un “biosonar”, e le afferrano singolarmente come se avessero una pinza, grazie alla bocca munita di denti.
Per osservarli in natura, per aiutarli a sopravvivere, è nato nel 1999 Pelagos il “Santuario Internazionale dei Cetacei”. Una grande zona di mare compresa tra due linee immaginarie: una ad ovest da Punta Escampobariou (Principato di Monaco) a Capo Falcone (costa occidentale della Sardegna), l’altra ad est da Capo Ferro (costa nord orientale della Sardegna) a Fosso Chiarone (costa meridionale della Toscana). L’immensa area, di circa 100.000 Kmq, è tutelata con il divieto delle gare motonautiche “off shore” e della pesca con le “spadare”, le reti pelagiche derivanti che tantissime vittime hanno fatto tra questi intelligenti e minacciati animali.
All’interno del Santuario, che in questo 2007 sta organizzandosi anche in modo più coerente con la sua missione di tutela, ci sono diverse aree marine protette ed alcuni parchi naturali con estensione anche a mare.
Pelagos è stato il contributo europeo, in particolare di francesi ed italiani oltre che dei monegaschi, al grande movimento scientifico internazionale che studia e cerca di tutelare questi splendidi animali.
Ma è anche una risposta al bisogno della gente di potersi meravigliare, stupire. E cosa c’è di più fantastico di Moby Dick?
Oggi solo pochi al mondo uccidono ancora balene. Ma tantissimi le vanno ad ammirare da vicino, dalle Hawaii alla California, da Peninsula Valdes al Mare del Nord, per non parlare della Nuova Zelanda, il “whale watching” è divenuta una redditizia attività turistica che porta la gente a contatto con delfini e balene.
Da noi è un turismo ai primi vagiti, ma in crescente interesse anche per le attività di turismo compatibile che parchi e riserve han messo in campo insieme ad alcune delle più importanti associazioni ambientaliste ed università.
Solcando le acque del Tirreno settentrionale, dunque, armati di un buon binocolo e con una buona dose di fortuna e se si scruta il mare con attenzione, si può avere la possibilità di vedere alcune delle 19 specie di mammiferi marini avvistabili nel Mediterraneo.
I più fortunati possono incrociare la rotta dello schivo zifio (Ziphius cavirostris), animale di circa 5-7 metri, di colore variabile da grigio a caffelatte, che la maggior parte delle volte, però, ci passerà accanto senza farsi notare sogghignando con il sorriso a “becco d’oca”. L’unica volta che lo ho avvistato ero al timone della mia barca a vela intorno all’alba, il tempo di chiamare i miei compagni di crociera ed era già scomparso all’orizzonte.
E’ possibile osservare anche il grampo (Grampus griseus), dal caratteristico corpo ricoperto di graffi, mentre appare e scompare immergendosi per abbuffarsi di calamari, e il curioso globicefalo (Globicephala melas), lungo 6-7 metri, di color ebano, che mostra una peculiare forma della testa da cui deriva il suo nome. Gli inglesi lo chiamano “balena pilota” per la sua caratteristica di farsi spingere dalla prua delle navi, quasi dovesse fargli da guida.
Ma se in lontananza si avvista un gruppo di delfini che saltano giocosi fuori dall’acqua, ci sono buone probabilità che si tratti della piccola (circa 2 metri) stenella striata (Stenella coeruleoalba) dal corpo slanciato, di colore grigio scuro sul dorso che sfuma nel bianco del ventre ed è percorso da strisce scure sui fianchi; ma potrebbe esserci una sorpresa se avvicinandosi agli esemplari, che nel frattempo si saranno sicuramente portati a prua per fare surf sulle onde dell’imbarcazione, si nota il dorso nero ed uno strano disegno a clessidra sui fianchi: è il delfino comune (Delphinus delphis)! Specie purtroppo ormai rara nonostante il nome farebbe pensare il contrario.
Infine un classico incontro può essere quello con la specie più conosciuta fra questo gruppo di animali, il tursiope (Tursiops truncatus), delfino conosciuto dal grosso pubblico perché ha la poco invidiata posizione di essere esibito in acquari e delfinari.
Ma tutti vorrebbero avere l’occasione di veder soffiare l’immensa balenottera comune (Balaenoptera physalus), lunga circa 20-22 metri e di colore grigio ardesia, che si riconosce per la testa a cuneo e per il suo profilo di galleggiamento. Se le condizioni del mare ci sono propizie, è possibile veder anche emergere il maestoso capodoglio (Physeter macrocephalus), con il suo corpo grigio scuro che può raggiungere i 18 metri di lunghezza, caratterizzato dall’avere un’enorme e squadrata testa e un caratteristico soffio piegato in avanti a sinistra.
Delfini o balene che siano, la prima volta che li vedrete da vicino o che avrete la possibilità di nuotare vicino a loro, siate certi che vi cambieranno. C’è qualcosa di speciale nel loro modo di essere, nella curiosità che hanno per noi umani, per la gioia con cui vivono il mare, qualcosa che non si dimentica.
La prima volta che andai in Patagonia a vedere da vicino le balene franche australi tornai a casa con la pupilla a forma di coda di balena, le vedevo dovunque. E da allora, e son passati 9 anni, continuo a cercare balene e delfini, sono stato nello Stretto di Gibilterra a cercare i globicefali, a Giannutri a seguir capodogli, nel mar Ligure alla ricerca dello zifio, per non parlare delle nuotate fatte tra i delfini con i Maori all’altro capo del mondo. Una passione che è quasi una malattia, perché come ha scritto Roger Payne che ha dedicato tutta una vita alla salvaguardia dei cetacei: “il mondo selvatico aspetta l’amicizia dell’umanità”.