La Via degli Acquedotti da Lucca a Pisa

Durata totale: giornata intera, 2 giorni
Periodo: tutto l’anno
Difficoltà: ( E ) itinerario escursionistico privo di difficoltà tecniche (medio)
Sviluppo percorso: lineare
Ascesa totale: 615 m
Tempo di percorrenza: 8 ore (di cammino escluse le soste)
Mappa: scarica il percorso

Ci troviamo in Toscana in una delle tante aree naturali meno conosciute di questa splendida regione ma che tanto hanno da offrire all’escursionista curioso.
La Via degli Acquedotti è un percorso di 23 km che collega le città di Lucca e Pisa attraversando il Monte Pisano dal valico di Campo di Croce. Due sono gli acquedotti di grande rilevanza storico-artistica: l’Acquedotto Nottolini di Lucca (1823-1851) e l’Acquedotto Mediceo di Pisa (1592-1613).

L’itinerario è piuttosto breve è può essere percorso in una sola giornata impiegando 8 ore di cammino (escluse le soste). In tal caso bisogna tener presente che La Via degli Acquedotti non si sviluppa interamente in pianura ma prevede una salita sul Monte Pisano con un dislivello complessivo di oltre 800 m.
Io preferisco affrontare questo cammino in un giorno e mezzo dormendo a Vorno ma consiglio vivamente, per chi avesse più tempo, di sostare anche in entrambe le due città.

Dal 2012 questo itinerario promosso dall’Associazione Piedi in Cammino ha acquisito nel tempo rilevanza nazionale attirando escursionisti da tutta Italia e non solo grazie anche all’interessamento di alcune riviste quali Donna ModernaIn Viaggio e Camminare.

Proprio dietro la Stazione Ferroviaria di Lucca in Via Lorenzo Nottolini ha inizio l’itinerario della Via degli Acquedotti che si raggiunge utilizzando il sottopassaggio della stazione! L’itinerario è interamente segnato con placchette e frecce e lungo gli acquedotti monumentali sarà veramente impossibile perdersi. Ovviamente consiglio per sicurezza di munirvi di una buona mappa e di scaricarvi la traccia gps!

Imboccata la Via del Tempietto troviamo immediatamente il “Tempietto-cisterna di San Concordio” dove qui giungeva a cavallo di 459 archi l’acqua sorgiva dal vicino Monte Pisano. La necessità di dotare Lucca di un grande acquedotto per rifornire la città di acqua di buona qualità, fu affrontata fin dagli inizi del Settecento. I lavori di costruzione dell’acquedotto, realizzato per volontà di Maria Luisa di Borbone grazie al regio architetto Lorenzo Nottolini, iniziarono nel 1823 e terminarono, interrotti più volte, nel 1851. L’itinerario si sviluppa lungo gli archi dell’acquedotto fino a raggiungere il Tempietto-cisterna di Guamo e successivamente segue la conduttura interrata fino a raggiungere la Serra Vespaiata (costruzione che riuniva le acque del Rio San Quirico e del Rio di Valle) chiamata “Alle parole d’oro”.

Attraversando quest’area si risale lentamente nel bosco fino a raggiungere la Loc. Gallonzora dove dall’alto si può godere di un bellissimo panorama sulla piana lucchese, le Alpi Apuane e l’Appennino.
L’itinerario continua in discesa fino a giungere a Vorno, un grazioso paese di fondovalle. Imbocchiamo Via di cima Vorno e proseguiamo lungo strada asfaltata fino a trovare l’inizio del sentiero RET 124. Inizia qui la parte più impegnativa dell’intero percorso dove, tra boschi di Castagni si raggiunge il valico di Campo di Croce a oltre 600 metri di quota.

Percorso un breve tratto della Via Tobler, antica strada che collega Agnano a Santallago (sentiero RET 117), si aprono ampie vedute sulla valle di Calci, la piana pisana e il mare. Raggiunta Foce Pennecchio (attenzione sarà necessario lasciare la Via Tobler) scendiamo verso la Valle delle Fonti.
Prendendo ora il sentiero in discesa RET 119 attraverseremo la stretta vallata percorsa dal torrente Zambra, che raccoglie le acque delle numerose scaturigini presenti sulle pendici. Si avvisteranno i bottinelli, opere di captazione e regimazione idraulica dell’Acquedotto Mediceo che da questa valle continua ancora oggi a portare acqua alla città di Pisa.

Scendiamo fino al piccolo borgo di Asciano che, come Vorno, è sempre stato legato alla presenza dell’acqua ed imbocchiamo Via Italo Possenti fino a raggiungere con una breve deviazione il Bottino di San Rocco dove ha inizio la conduttura sopraelevata costituita da 934 archi. Ritornati lungo l’itinerario continuiamo per Via Italo Possenti incamminandoci quindi lungo l’acquedotto Mediceo costruito tra il 1591 e il 1613 grazie alla ingegnosa idea del granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici fino ad arrivare alle mura della città di Pisa in Piazza delle Gondole.

Per i più curiosi sarà anche possibile seguire un itinerario lungo le Fontane medicee disseminate per la città fino a raggiungere Piazza dei Miracoli.

Il regno di Tiburzi,la selva del Lamone

Un tempo il territorio al confine tra Lazio e Toscana doveva essere un’unica fittissima foresta, percorsa da forre profonde e vallate rocciose, rupi profonde e boschi inestricabili. Nei secoli la leggenda di un bosco impenetrabile è rimasta, e non sorprende che proprio questi territori siano stati set di tantissime storie, reali o immaginarie. Sapevi che molti credono che fu proprio l’essersi smarrito tra questi boschi che ispirò Dante con la sua Divina Commedia? Nel mezzo del cammin, tra Firenze e Roma… chi lo sa!

Certo è che l’area tra Farnese e Pitigliano, Manciano e Ischia di Castro ancora oggi mantiene queste caratteristiche e ci fa intuire la difficoltà che dovevano incontrare i viaggiatori inesperti che si trovavano a percorrere queste vie.

Eppure dobbiamo pensare che un tempo, fino a nemmeno un secolo fa, i boschi erano più popolati e conosciuti di oggi. Non dobbiamo farci ingannare dalla tecnologia, dai sentieri tracciati, dai filtri Instagram. Oggi tutto sommato sono solo gli escursionisti, i cercatori di funghi e guardiaparco a frequentare abitualmente le selve. Un tempo questi sentieri oltre che dai cacciatori erano continuamente battuti anche da tanta gente che proprio qui trovava il proprio sostentamento. Porcari, che portavano i maiali a nutrirsi delle ghiande di cui erano ghiotte, e pastori, taglialegna e carbonai – questi ultimi passavano dei mesi interi nel bosco con tutta la famiglia, in povere ed essenziali capanne, mentre badavano alla produzione del carbone, risorsa fondamentale per le industrie. C’erano spesso minatori e cercatori d’oro, butteri e mandriani, eremiti e poi… contrabbandieri, banditi, e briganti, carabinieri e gendarmi che li inseguivano spesso invano.

Le storie di Tiburzi, il re del Lamone, tra memorabili scontri a fuoco, inganni e travestimenti echeggiano ancora tra gli alberi della Selva. Nato a Cellere, poco distante, si diede alla macchia e divenne uno dei più celebri briganti della Maremma, sul finire del XIX secolo. Si racconta che proprio tra questi sentieri celebrò le sue nozze d’argento con la macchia, oltre venticinque anni di latitanza!
Ma come è possibile una storia simile?
Perché il Lamone era, ed è ancora, una foresta impenetrabile!
Sicuramente ancora oggi le leggende e le storie di cercatori di funghi ed escursionisti incauti che si smarriscono nel folto sono raccontate con fondo di verità.
Cosa è che la rende così “ostile”? Forse il sottobosco spinoso, di stracciabraghe e pungitopo, o gli incredibili ammassi di roccia? Magari i sentieri pianeggianti che attraversano aree diverse ma simili tra loro, che fanno perdere facilmente l’orientamento, come la presenza di aree impenetrabili, dove si nasconde il gatto selvatico, il tasso, la martora, che osservano senza essere visti. O forse sono gli inganni che Tiburzi ha teso ai suoi inseguitori che hanno ancora effetto su di noi…

Qualunque cosa sia, la Selva del Lamone è una riserva naturale incredibile, dal fascino antico e incantato. Una meta perfetta dall’autunno alla primavera, e con una guida esperta è anche meglio!

Matajur, il simbolo delle Valli del Natisone

Con la sua forma conica che svetta alla spalle dei palazzi di Cividale del Friuli, il monte Matajur è il simbolo delle Valli del Natisone.

Milleseicentoquarantuno metri sul livello del mare, questa montagna soprannominata Monte Re o Baba nel dialetto sloveno locale sovrasta tutta la pianura attraversata dal fiume Natisone, rimanendo sempre visibile da ogni zona.

Cividale panorama Natisone
Il Matajur svetta dietro Cividale del Friuli e domina le Valli del Natisone

Dai suoi fianchi nascono tanti degli affluenti di destra del Natisone, come l’Alberone e il Cosizza, due tra i principali, le cui vallate e spiagge sono raccontate in weBeach – Friuli e Isonzo, guida pratica sulle splendide spiagge nascoste arrivata alla sua seconda edizione.

Proprio la vallata dell’Alberone va risalita per la sua quasi totalità per arrivare al Rifugio Pelizzo, ultima destinazione di chi vuol visitare la cima della montagna simbolo delle Valli del Natisone e da lì godere della vista che, nelle giornata giuste, spazia su tutto il Friuli orientale.

Come arrivare

Da Cividale del Friuli imboccare la SS54 in direzione di San Pietro al Natisone. Giunti in località Ponte San Quirino, oltrepassato il ponte sul Natisone, proseguire dritto in direzione Savogna e seguendo il cartello giallo che, un po’ sbilenco, indica la via proprio per il monte Matajur.

Proseguite quindi fino a Savogna. Qui dopo l’attraversamento di un nuovo ponte, stavolta sull’Alberone, tenete la destra al bivio seguendo le indicazioni per Matajur e per il Rifugio Pelizzo.

La cartellonistica vi aiuterà ancora una volta dopo qualche chilometro, quando dovrete imboccare il grande tornante a sinistra seguendo sempre le indicazioni presenti per la montagna ed il rifugio, prendendo la Strada Comunale di Masseris fino a Montemaggiore, l’ultimo abitato che incontrerete.

Da qui qualche altro tornante e ca 4 km di strada portano al Rifugio Pelizzo e al vicino osservatorio astronomico. Già in quest’ultimo tratto di strada potete godere di una panorama pazzesco sulle Valli del Natisone.

Matajur osservatorio
L’osservatorio astronomico a fianco del rifugio Pelizzo sul Matajur – ph. chripell con licenza CC BY-SA 2.0

Il rifugio

Il Rifugio Pelizzo, inaugurato nel 1975, è stato costruito nei pressi del punto di passaggio dell’ultima linea di difesa italiana durante la Prima guerra mondiale.

Qui il 24 ottobre del 1917 si svolse una delle fasi decisive della disfatta italiana di Caporetto, con l’allora tenete Rommel che ne conquistò la vetta dopo 52 ore di marcia e combattimento, facendo quasi 9000 prigionieri.

Il Natisone visto dal Matajur
Il Natisone visto dal Rifugio Pelizzo – ph. Parin con licenza CC BY-SA 3.0

Oggi il rifugio è simbolo di tutt’altro clima: l’unica sfida bellica che vi si propone è quella di sedervi a tavola e battagliare piacevolmente con la pasta fresca, gli gnocchi di zucca, lo spezzatino, le salsicce, i formaggi e il vino locale e del vicino Collio, una delle zone più pregiate del Friuli per quanto riguarda l’enologia.

Dal Pelizzo partono diversi sentieri con differenti gradi di difficoltà e lunghezza. Per smaltire un pranzo abbondante l’idea migliore è quella di arrivare fino alla vera e propria cima del Matajur.

In cima al Matajur

In circa 45 minuti di camminata in salita attraverso un sentiero di montagna alla portata di tutti, si arriva alla piccola cappella restaurata che simboleggia la cima del monte Matajur.

matajur cappella natisone
Dentro la piccola cappella in cima al Matajur – ph. ::ErWin con licenza CC BY-SA 2.0

La cima del monte è sempre stata terra di confine nel corso del Novecento: dapprima con l’Austria, poi con la Jugoslavia e oggi con la Slovenia. Un piccolo cippo di cemento testimonia il passaggio della linea di confine.

Dalla cima lo sguardo spazia proprio oltreconfine, dove nelle giornate senza foschia si può arrivare a vedere la laguna di Grado e l’Istria, mentre volgendo verso sud ed est tutto il Friuli si stende ai vostri piedi.

matajur cima neve
La vetta del Matajur in inverno, coperta di neve – ph. chripell con licenza CC BY-SA 2.0

Da qui, allungate di una quindicina di minuti la discesa prendendo il sentiero CAI 736 fino al bivio con il 750, pochi metri più sotto.

Il sentiero 750 è noto anche come Percorso naturalistico del Matajur, e prendendolo da qui vi riporterà al Rifugio Pelizzo passando per la sorgente del torrente Alberone.

Scritto con Lorenzo Calamai

Salina: nelle misteriose Grotte dei Saraceni

Esiste un luogo misterioso nell’isola di Salina, nel cuore delle Eolie, quello conosciuto col nome de Le Grotte dei Saraceni. Quest’ultime si trovano lungo uno dei percorsi più impegnativi verso la cima di Monte Fossa delle Felci (962 m), ma per fortuna non sono situate così in alto, fermandosi presso Serro dell’Acqua.

Le grotte sono state chiaramente sfruttate da un insediamento rupestre, durante le invasioni piratesche in epoca medievale. Con l’ulteriore peculiarità che quanto indicato nella segnaletica ufficiale è solo una piccola parte di quelle esistenti, perché le più suggestive… stanno da un’altra parte. Celate a qualsiasi sguardo esterno dentro un vallone, le cui differenti colorazioni indicano le varie fasi eruttive di Serro del Capo, le grotte possono essere raggiunte affidandosi preferibilmente a chi è esperto della zona.

Alcune fonti fanno risalire queste grotte al VII sec. d.C., ma la maggior parte concorda nell’individuare come periodo di riferimento il secolo successivo, in cui questa parte nascosta di Salina è stata rifugio di chi stava fuggendo da un disastro naturale che verrà raccontato in loco. Trattandosi di grotte artificiali costruite all’interno di altre naturali, quelle dei Saraceni si mostrano come una serie di cunicoli celati uno dentro l’altro, i cui indizi (rintracciabili all’interno, da occhi esperti) fanno pensare ad un luogo di culto. Si parla anche di una grotta, oggi crollata, su cui ci sarebbe anche da discutere…. Probabilmente, le Grotte sono state poi rifrequentate nei secoli successivi, a causa di altri drammatici avvenimenti.

Come già accennato, questo sentiero è uno di quelli che anticamente conducevano a Monte Fossa delle Felci; continuando a salire, infatti, ci si immetterà nella carreggiata che porta in cima. Vi sarà la possibilità di scendere verso Pizzo Capo, per ammirare alcuni dei panorami migliori in assoluto con la visione delle altre isole. L’ideale è scendere verso Valdichiesa, passando per il sentiero in cui il bosco fitto di Salina respira grazie alle eriche e agli eucalipti, tra i picchi di montagna che ricordano le alture andine. Un tipo di percorso che si consiglia soprattutto in autunno, sia per gli avvolgenti odori di humus che per la temperatura moderata, e preferibilmente in prima mattinata.

Michele Merenda

Anello dei Corni di Canzo

Natura protetta e vette panoramiche nel Triangolo Lariano

Dislivello:  892 metri alla vetta del Corno di Canzo centrale

Tempo di percorrenza:
 5 ore per l’intero anello

Difficoltà:
 E (EE il breve tratto facoltativo di salita alla vetta del Corno di Canzo centrale)

Punto di partenza:
Canzo-Fonte Gajum


Cartografia:
“Carta dei Sentieri del Triangolo Lariano” 1:25.000 edita dalla Comunità Montana Triangolo Lariano CNS 1:50.000 “Como”

Informazioni locali:
 Agriturismo Terz’Alpe tel. 031-682770 Rifugio SEV tel. 0341-583004 Albergo Fonte Gajum tel. 031-681077 Albergo La Sorgente tel. 031-681119

Internet: riserva sasso malascarpa e www.triangololariano.it

 

 

La Val Ravella e San Miro

La Val Ravella è un importante solco che confluisce da Est nella Vallassina, all’altezza di Canzo. La valle è nota per le Fonti Gajum, sorgenti di acqua minerale pregiata che la tradizione vuole siano state scoperte da San Miro, pio eremita del luogo che era celebre per le sue doti nel trovare e far sgorgare sorgenti. Secondo alcuni Miro nacque a Canzo, altre fonti dicono invece che abbia visto la luce a Second’Alpe nel 1336, da anziani genitori che non speravano più di aver prole. Per questo il bimbo fu chiamato Immiro, “nato in modo straordinario”. Alla morte dei genitori, il ragazzo donò i suoi beni ai poveri e si ritirò in una grotta della sua valle, presso la quale fu successivamente eretta la chiesa lui dedicata. Rientrato da un pellegrinaggio a Roma, Miro decise di ritirarsi di nuovo in solitudine, ma in altro luogo. Prima di andarsene egli chiese ai suoi convalligiano di esprimere un desiderio ed essi gli dissero che la cosa più ambita era l’acqua. Partendo, Miro promise loro che da quel giorno il prezioso elemento non sarebbe mai mancato in Val Ravella Parte del percorso si svolge lungo la larga strada acciottolata detta Via dei Monti perché collega i tre principali alpeggi della valle, Prim’Alpe, Second’Alpe e Terz’Alpe, Di questi il secondo è ormai quasi scomparso, sebbene le cronache ci dicano che un tempo fosse forse il più popoloso della valle. Fin dall’antichità, l’abbondanza d’acqua e la relativa ampiezza del territorio, consentirono di insediare stabili attività agro-pastorali, con produzione di latte, burro e formaggi. Nei pressi di Second’Alpe e Terz’Alpe, sono ancora ben visibili i baitelli costruiti in vicinanza di ruscelli la cui acqua serviva per rinfrescare gli ambienti di conservazione dei latticini. Trattandosi di un percorso ad anello la gita può essere affrontata indifferentemente in due sensi di marcia, tuttavia, la soluzione proposta è quella che, certamente, renderà le cose più agevoli. Una volta raggiunta la Forcella dei Corni, proponiamo la salita al Corno di Canzo centrale, una breve variante consigliabile però solo ad escursionisti esperti.


L’anello dei Corni di Canzo

Dal parcheggio presso le Fonti Gajum, si imbocca la strada acciottolata che attraversa il torrente Ravella e piega a sinistra salendo a lambire una grande casa. Si continua lungo la strada e, dopo alcuni pendii prativi, si rientra nel bosco seguendo la destra orografica della Val Ravella, fino alla grande ed antica cascina di Prim’Alpe. Di fronte alla cascina si trova una bellissima fontana con vasca monolitica di granito ove rinfrescarsi e far provvista d’acqua. Nella cascina ristrutturata, l’ERSAF (Ente Regionale Servizi Agricoltura e Foreste) ha ricavato un punto informativo che merita senz’altro una visita. Lasciata Prim’Alpe, proseguiamo sulla strada acciottolata e, dopo un breve tratto pianeggiante, riprendiamo la salita arrivando presso la cappelletta votiva dedicata a San Gerolamo. Dopo una curva pronunciata presso un cartello indicatore che segnala la diramazione di un sentiero sulla sinistra (indicazione Sentiero n°5 CORNI). abbandoniamo la strada. Saliamo lungo la traccia che entra nel bosco e alterna tratti ripidi ad altri in minore pendenza facendo bene attenzione a non perdere di vista la segnaletica che è piuttosto obsoleta e, a volte, sbiadita. Sempre lungo il sentiero n°5 arriviamo ad incrociare un tratturo proveniente da destra (Terz’Alpe) che porta verso la Colletta dei Corni. Traversata la stradicciola si continuia dritti toccando l’ampia dorsale boscosa che costituisce lo spartiacque fra la Val Ravella e la Valle del Foce. Durante la salita, alcuni varchi nel fitto bosco lasciano intravedere il sottostante agglomerato di Valbona, mentre verso Nord si amplia il vuoto che segnala la presenza del Lago di Como. Procedendo nel bosco misto di faggio, betulla e tiglio, scavalchiamo il crinale passando fra alcuni grossi massi erratici. Il cammino prosegue in leggera salita, a mezza costa, tagliando il versante settentrionale dei Corni di Canzo e dopo un tratto gradinato sbuca a Pianezzo, nei pressi di alcune cascine ristrutturate dove si incrocia la strada sterrata salente da Valbona ed il sentiero che, da destra, giunge direttamente qui da Terz’Alpe. Le rupi calcaree dei Corni di Canzo ci dominano. Prendendo a destra lungo la stradina si giunge in breve alla ben visibile costruzione del Rifugio SEV. Alle spalle dell’edificio il sentiero taglia in obliquo verso destra, raggiungendo in breve la Forcella dei Corni 1300 m, che separa il Corno di Canzo centrale, a sinistra, da quello occidentale a destra. Dal valico possiamo raggiungere abbastanza facilmente la cima del Corno centrale: seguiamo la buona traccia che, verso sinistra, si attiene al crinale di boscaglia e roccette affioranti. Aggirato con prudenza un piccolo spuntone calcareo, proseguiamo facilmente tenendo infine il versante destro (Sud) della cresta fino al ripido pendio erboso che porta sotto le rocce terminali. Seguendo la traccia si toccano le roccette e lungo un sistema di cenge a zig zag (segnalazioni con vernice rossa) si giunge in breve alla croce sommitale. La discesa si compie per la stessa via tornando alla Forcella dei Corni. Questo pur breve tratto è da consigliare ad escursionisti esperti e da affrontarsi con rocce asciutte. Dalla Forcella dei Corni iniziamo la discesa rientrando nell’alta Val Ravella. Un comodissimo sentiero scende a tornanti nel bosco e raggiunge l’ampia sella della Colma di Val Ravella, nei cui pressi si trova un monumentale faggio (cartello indicatore). Sempre comodamente proseguiamo a scendere piegando verso destra fra faggi, noccioli, maggiociondoli e sorbi montani. Con piacevolissimo cammino, sorvegliati dalle rupi dei Corni di Canzo, giungiamo al grande complesso di Terz’Alpe, dove si trova un rifugio agrituristico e dove termina la strada proveniente da Gajum. Prendiamo a destra la larga carrareccia che in piano entra nel grandioso bosco e, poco dopo, eccoci a passare presso quel che resta delle costruzioni di Second’Alpe. Qui, accanto ad una cappelletta e ad alcuni tradizionali caselli per la conservazione dei latticini, sorge un monumentale tiglio ai cui piedi, quasi simbolicamente, sgorga una fresca fontana. La tradizione vuole che a Second’Alpe, un tempo fiorente nucleo abitato, sia nato San Miro, cui è dedicata una chiesetta sul versante sinistro orografico della valle. Sempre lungo la strada proseguiamo il cammino per arrivare nuovamente al punto dove l’abbiamo lasciata per imboccare il sentiero n°5.

 

Nasce Altaviaconnessa.it. Il “Collegamento” tra l’Alta Via dei Parchi e l’Alta Via dei Monti Liguri

Berceto, 25 Novembre 2021

 

Nasce Altaviaconnessa.it.

Il “Collegamento” tra l’Alta Via dei Parchi e l’Alta Via dei Monti Liguri

 

80 km di storia, natura, leggende in un vero e proprio “ponte escursionistico” che rafforza il collegamento tra l’Alta Via che unisce i Parchi della quasi totalità dell’Appennino emiliano-romagnolo e l’Alta Via dei Monti Liguri, che a sua volta percorre tutto l’alto Appennino ligure. Consentendo di fatto un unico grande percorso di oltre 900 km da Carpegna (in provincia di Pesaro Urbino nella Regione Marche) a Ventimiglia, al confine con la Francia .

Si tratta di un itinerario, di quasi ottanta chilometri, composto da 4 tappe che vanno a toccare tre regioni: Emilia Romagna, Toscana e Liguria tra il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano e il Parco Regionale dell’Aveto; un collegamento più stretto tra le valli del Taro, Ceno, Manubiola, Magra, Vara, Graveglia, Sturla, Aveto.

 

Frutto di un lavoro di manutenzione e pulizia dei sentieri, riqualificazione delle strutture di ristoro e alloggio per gli escursionisti lungo il Sentiero, con il posizionamento di tabelle e paline a delimitare ed illustrare tutto il percorso, arricchito dalla creazione di un sito con web/App innovativa che offre informazioni e servizi ai fruitori. Per la condivisione di esperienze e percorsi da parte degli stessi, nonchè per attività di statistica e monitoraggio.

 

Il progetto prevede infatti un sistema integrato tra il portale internet e la sua web app con bacheche, paline, depliant/mappe, rifugi: tramite la scannerizzazione dei QR-code lungo il percorso e la conseguente geolocalizzazione, l’escursionista potrà avere info utili e condividere via social, se lo desidera, l’esperienza ed il cammino: una vera e propria “credenziale virtuale” raccoglierà foto ed esperienze con date, tipo di percorso, ecc.

Le Tappe

TAPPA1 dal Passo della Cisa al Passo dei Due Santi, attraverso il monte Molinatico (25.4km)

TAPPA2 dal Passo dei Due Santi al Passo Cento Croci, attraverso il Monte Gottero (19 km)

TAPPA3 dal Passo Cento Croci al Passo del Bocco attraverso il Monte Zatta (23 km)

TAPPA4 Dal Passo del Bocco al Passo del Chiodo attraverso il Monte Penna (12 km)

 

Il progetto è realizzato dai Comuni parmensi di Berceto, Borgo Val di Taro, Albareto, Tornolo, Bedonia, dai Parchi del Ducato (Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità Emilia Occidentale). Ed è finanziato da GAL del Ducato con fondi europei – PSR Emilia Romagna 2014-2020.
Il progettista coordinatore è Emanuele Mazzadi di Bedonia (PR), architetto e Guida Ambientale Escursionistica. Che ha curato la sentieristica con Andrea Maggio.

 

Testi per i pannelli, il sito e l’app: Giacomo Galli (storia, leggende), Giovanni Michiara (geologia) e Guido Sardella (natura).

 

Grafica e coordinamento sito Web e App, per Net Weight srls: Silvia Pezza e Davide Galli (che è anche il Presidente nazionale di AIGAE, l’Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche con oltre 3.000 professionisti associati su tutto il territorio nazionale).

 

ll progetto e la App verranno presentati in conferenza stampa venerdì 26 Novembre ore 19.00 presso la sala consiliare del Comune di Berceto (PR) ed in contemporanea on line su piattaforma Zoom.

 

Qui per il collegamento via zoom

Meeting ID: 882 7119 0387 Passcode: 291287

 

Val Mastallone tra escursionismo e wild swimming

Appassionati di escursionismo in salsa geologica? Curiosi delle vecchie mulattiere di montagna? In cerca di itinerari off-track alla scoperta di profonde gole dalla storia misteriosa? Voglia di una nuotata into the wild? La Val Mastallone è curiosamente tutto questo!

Questa valle laterale della Valsesia, riconosciuta Sito di importanza comunitaria per il suo elevato valore ambientale, è una valle stretta e poco abitata ricavata dal millenario lavorio del suo meraviglioso torrente, il Mastallone, caratterizzato dalla più pura delle acque.

In pochi chilometri si succedono una serie di spiagge nascoste le cui piscine naturali offrono acqua cristallina, le cui trasparenze fanno pensare a latitudini ben più esotiche. E’ proprio questa caratteristica che ha ispirato a Filippo Tuccimei di weBeach il nome di una delle spiagge più belle di questa valle, El Caribe. Ed è questa spiaggia che lo ha convinto a scrivere weBeach – Mastallone e Sesia, dove vengono mappate le migliori spiagge di questi 2 meravigliosi corsi d’acqua.

El caribe
El Caribe| Val Mastallone

Val Mastallone: una vera meraviglia della natura

Questo sito, che si raggiunge con un incantevole sentiero nel bosco, è davvero una meraviglia della natura: la parete rocciosa in sinistra orografica cade a picco sul torrente, praticamente verticale, ma verdissima, popolata com’è da arbusti e veri e propri alberi. La spiaggia principale è esposta al sole dalla tarda mattinata e per tutto il giorno, ma può contare su spazi sovrastanti, curiosamente disposti ad anfiteatro, sempre all’ombra che seducono gli amanti del “barbecue vista fiume”.

La piscina naturale è grande, e si forma grazie ad un profondo (fino a più di 3 m) accumulo d’acqua successivo ad una rapida che, perdendo gradualmente profondità, si estende per 150 metri incanalandosi poi in una nuova rapida. Fatevi trascinare qui dalla corrente, presso un piccolo salto dell’acqua e accomodatevi, come un re sul suo trono, per godervi la potenza dell’acqua in quello che è un favoloso idromassaggio naturale!

Dopo un tuffo rinfrescante, scaldatevi sulla sabbia calda e fate viaggiare lo sguardo oltre il verdissimo anfiteatro montano che vi circonda fino al cielo blu: non è raro osservare, centinaia di metri più in alto, rapaci che planano disegnando cerchi concentrici. Ascoltando il fragoroso silenzio della natura e lo scorrere dell’acqua vi addormenterete piacevolmente. Non rilassiamoci troppo e riprendiamo il cammino! Il sentiero rientra in un fitto bosco di faggi per sbucare in un’altra spiaggetta di fine sabbia chiara che ha ispirato a weBeach un nuovo nome esotico, Tropicali.  

Spiaggia Tropicali

Ed è qui che inizia l’avventura: abbandonando il sentiero si può proseguire “off-track” via torrente fino a raggiungere un’alta, strettissima gola percorsa la quale il corso d’acqua crea una piscina naturale profonda, verdissima e dalle trasparenza caraibiche. Inoltratevi per quanto possibile nella gola, qui l’acqua, costretta da strette pareti rocciose, si incanala veloce e possente scavando da millenni il suo greto fino a 10 metri di profondità. Se alzate lo sguardo vedrete, 40 metri più in alto, un ponte letteralmente aggrappato alle due sponde della gola, così plastico nella sua posa da assomigliare a quelle colate di sabbia bagnata che facevamo da bambini. Naturalmente è possibile raggiungere il ponte dall’alto e percorrerlo apprezzando la vista mozzafiato della gola sottostante.  

Ponte del diavolo By adirricor – panoramio, CC BY 3.0

  Leggende locali raccontano che il ponte sarebbe opera del diavolo in persona che, secondo un patto fatto con un santo eremita, lo avrebbe costruito in cambio dell’anima che per prima avesse attraversato il ponte e la profondissima gola. L’eremita avrebbe superato in astuzia Satana facendo passare per primo sul ponte un maiale.

Da allora il diavolo, risentito per la beffa subita e desideroso di vendetta, sarebbe rimasto nascosto nell’Orrido, alla ricerca di nuove anime da corrompere. Durante un recente restauro, è stata scoperta una pietra recante la data del 721 d.C., cioè di epoca longobarda ma potrebbe trattarsi di residuo di altro ponte precedente, perché l’ipotesi più accreditata è che il ponte sia stato edificato nel XV secolo. Il ponte, interamente costruito in pietra, fu realizzato per garantire le comunicazioni tra le mulattiere di destra e sinistra orografica della Val Mastallone, un vero e proprio reticolo di sentieri costruito per unire i minuscoli insediamenti montani nati nel tempo. La Val mastallone non è dunque solo wild swimming. Non tutti sanno che questa splendida valle è stata teatro, 300 milioni di anni fa, dell’esplosione del c.d. Supervulcano i cui resti sono ancora oggi visibili in un geoparco diffuso che si estende fino alla Valsesia e che è accessibile dalla rete sentieristica: molte delle spiagge scovate da weBeach portano tangibili segni di questo evento geologico senza precedenti, maestosi scogli lisci fatti di materiale magmatico solidificatosi. Potrete comodamente prendere il sole sulla lava, è proprio il caso di dirlo!  

Val Mastallone Supervulcano

Dal punto di vista etnico questa valle è la culla della comunità Walser, una popolazione di origine germanica e tradizioni nomadi che abita le regioni alpine attorno al massiccio del Monte Rosa. Sono decine i borghi rurali e gli insediamenti e lasciati da questa cultura sparsi per la valle di cui il più antico è quello di Rimella, dove è possibile visitare il Museo Walser, ambientato in un’antica casa sapientemente restaurata. Non perdetevi la visita di Varallo dove il Mastallone termina la sua corsa nel Sesia. Tra le attrazioni di questa bella cittadina, adagiato su una rupe dalla quale si apprezzano viste panoramiche sulla Valle, è il Sacro Monte di Varallo, un complesso monumentale iniziato alla fine del XV secolo e dichiarato Patrimonio dell’UNESCO. Si tratta di una vera e propria “cittadella sacra” concepita per ovviare alla crescente minaccia turca per i pellegrini che si recavano in Palestina riproducendone i principali santuari, ossia creando una “Terra Santa in miniatura”. Composto da quasi 50 edifici questo itinerario religioso narra, attraverso affreschi e statue di altissimo livello artistico, scene della vita di Gesù e Maria. Le cose da fare non mancano in Val Mastallone e se decidete di fermarvi più di un giorno vi sono diverse soluzioni ricettive per tutti i gusti e le tasche. B&B che affacciano le loro stanze sul torrente, dove addormentarsi al piacevole gorgoglio dell’acqua e svegliarsi praticamente in spiaggia, così come agriturismi immersi in fitti boschi di castagno che offrono la ricca cucina incentrata sulla tradizione locale ed i prodotti di produzione propria. Scoprite anche voi El Caribe e le altre spiagge e avventure di questo super itinerario! Questo itinerario è anche parte della guida weBeach – Mastallone e Sesia!

Da Gualdera ad Avero

PREMESSA

Questa breve quanto interessantissima gita è una delle tante che sono contenute nell’e.book da me redatto e intitolato “Valtellina e Valchiavenna facili”. La guida completa si può trovare all’indirizzo internet: https://www.amazon.it/dp/B08FMBKHTN.

Ne esiste anche versione cartacea (foto in bianco e nero) all’indirizzo: https://www.amazon.it/dp/B08FXD9TLM

 

 

Periodo consigliato: da giugno a ottobre.
Punto di partenza: Gualdera, 1453 m, villaggio raggiungibile
staccandosi a destra dalla SS 36 dello Spluga all’altezza di
Campodolcino 1066 m, per imboccare la strada che percorre
la Val Rabbiosa alla volta di Fraciscio. Campodolcino, località
turistica della Val San Giacomo, si trova sulla SS 36 dello
Spluga a 14 km da Chiavenna e 129 da Milano. Da qui si
imbocca la deviazione per Fraciscio che si segue circa 1.5 km,
fino all’altezza del bivio da dove, piegando a destra si arriva a
Gualdera e Bondeno.
Tempo di percorrenza: 3 ore
Dislivello: percorso prevalentemente a mezza costa 250 m c.
Difficoltà: T/E (Turistica/Escursionistica)
Cartografia: Carta Nazionale della Svizzera 1:50.000 Roveredo
e S. Bernardino. Carta Escursionistica Kompass 1:50.000
“Chiavenna-Val Bregaglia”.
Informazioni: Consorzio Promozione Turistica Valchiavenna

 

Gualdera e Avero

A Gualdera, sorge la Casa Alpina San Luigi Guanella, struttura religiosa di accoglienza costruita nel luogo ove Luigi Guanella  (santificato nel 2011) ebbe la visione della Madonna il giorno della sua Prima Comunione. L´episodio è ricordato da un bronzo rappresentante la Madonna che addita a Luigi la sua futura missione. A Gualdera, in località “Palude del fieno”, si trova anche un bel laghetto artificiale meta di molti appassionati della flora e della fauna alpestri. Assai tipico è il borgo di Avero. Il paese è abitato solo nella bella stagione ed è fittamente raggruppato su una leggera dorsale che separa due corsi d’acqua. Gli edifici sono tutti orientati verso valle e disposti con un sapiente uso delle curve di livello. Le costruzioni propongonouna grande omogeneità costruttiva. ma v’è distinzione fraabitazioni, fienili e le stalle. La casa d’abitazione ha una basein pietra che ospita i locali di lavoro e di conservazione dei prodotti aziendali: cucina, cantina, [cànoa] e casera, più raramente la stalla. Sopra si trova il “solè” con pavimento e pareti in legno legate col sistema del “carden”o blockbau, ancestrale tecnica costruttiva che nelle Alpi è tipica delle popolazioni Walser. Il “solè”, ha funzione di spazio di soggiorno e camera da letto. Poiché Avero era abitato solo nella bella stagione non troviamo all’interno del “solè” la tipica stüa che riscalda il locale. Una migliore coibentazione era ottenuta riempiendo gli spazi fra le travi con muschio mentre il calore veniva dal focolare ospitato al piano inferiore. I tetti sono coperti di grosse piote ricavate dalla 25 pietra locale spaccata in grandi e pesanti lastre. Questa cura non era ovviamente usata per i fienili, pure in legno e per le stalle che invece hanno pareti in muratura a secco. Nei pressi dell’abitato sui resti di un’antica frana si trovano poi i caselli, piccole costuzioni in pietra erette sopra sorgenti e utilizzate per la conservazione del latte e di altri prodotti casearii. L’acqua e la presenza di correnti d’aria che escono dagli interstizi fra le grandi pietre della frana mantengono costante la temperatura e l’umidità. La più antica casa di Avero oggi visibile risale al 1628, data incisa su una trave di colmo; un’altra data visibile su una facciata è del 1707. La chiesa, dedicata ai santi Domenico, Camillo de Lellis e Vincenzo de’ Paoli, fu costruita nel 1717 e benedetta il 4 agosto 1768. Fu restaurata nel 1986 dopo la caduta della grande valanga che danneggiò la parte a monte del paese.

Percorso

A Gualdera conviene lasciare l’auto. Si prosegue a piedi lungo la carrozzabile che, dopo aver guadagnato quota con alcuni tornanti, raggiunge il piccolo nucleo di Bondeno (possibile arrivare in auto previo permesso acquistabile presso gli esercizi di Gualdera), costituito da tre successivi gruppi di baite. La strada lambisce a monte l’abitato fra prati e rado bosco poi prende quota con due tornanti e termina su poggio del Motto di Bondeno che si affaccia sulla sottostante Val San Giacomo. Sulle numerose rocce affioranti che costellano il prato, poco prima che il sentiero inizi ad addentrarsi nella Val d’Avero, si possono osservare varie incisioni rupestri alcune delle quali antichissime. Dal Motto di Bondeno, si riprende il sentiero che s’addentra nella Val d’Avero, intagliato nel suo versante destro orografico (cartello indicatore). Dopo circa trenta minuti di agevole cammino in leggera discesa, superata una zona di detriti alluvionali, si perviene all’abitato di Avero 1678 m (1,30 ore), peraltro già da tempo ben visibile al centro della valle omonima. Varcato da ultimo un torrentello si entra nel paese che merita una breve visita.

Nel cuore del Bernina: la maestosa Val Roseg e i suoi rifugi

Periodo consigliato: luglio-settembre

Tempo di percorrenza: da Pontresina all’Hotel Roseg 2 ore se si va a piedi; 1 ora circa con la bicicletta. Altre due ore a piedi se dall’Hotel Roseg si vuole raggiungere uno dei due rifugi della valle.

Dislivello: 200 metri circa da Pontresina all’Hotel Roseg. 600 metri circa dall’Hotel Roseg alla Chamanna da Tscherva o alla Chamanna Coaz

Difficoltà: T fino all’Hotel Roseg. E le salite dall’Hotel Roseg ai rifugi Coaz e Tschierva

Punto di partenza: Pontresina 1805 m all’imbocco della Val Bernina fra Saint Moritz e il Passo del Bernina. La si può raggiungere da Tirano (Valtellina) tramite il Bernina oppure da Chiavenna tramite il Passo del Maloja.

Cartografia: CNS 1:50.000 “Julierpass e 1:25.000 “Bernina”; Carta Multigraphic “Pizzo Bernina-Monte Disgrazia” 1:50.000; Kompass 1:50.000 “Bernina-Sondrio”

Informazioni locali:
Ferrovia Retica

Hotel Roseg 0041-81-84.26.445 – www.roseg-gletscher.ch

Chamanna Coaz 2611 m Tel.0041-81-84.26.278

Chamanna da Tschierva 2583 m Tel.0041-81- 84.26.391

 

 

La Val Roseg è una lunghissima valle che all’altezza del borgo di Pontresina si diparte verso occidente portando nel cuore del massiccio del Bernina. Un fondovalle pianeggiante, in parte ricoperto da boschi di abeti, larici e cembri e in parte da pascoli verdissimi, termina ai piedi dei grandi ghiacciai del settore occidentale del massiccio. Qui li chiamano Vadret, che in lingua reto-romancia o ladina, significa vedretta, ghiacciaio. Ma per vedere questo spettacolo d’alta montagna non è possibile avvalersi dell’auto, perché la strada sterrata che percorre la valle è interdetta al traffico. Al termine della rotabile, sul margine di una vastissima spianata alluvionale si trova l’Hotel Roseg, angolo di pace e tranquillità, immerso in un’atmosfera d’altri tempi.

Le vette del Bernina e un Alpinismo d’altri tempi  

Poco prima dell’albergo, una simpatica quanto gigantesca mano, ricavata da un tronco intagliato, invita a sostare e a meditare se non sia il caso di imboccare una deviazione a sinistra che porta alla Chamanna da Tschierva, uno dei due rifugi alpini della valle. Inoltrandosi lungo un sentiero pianeggiante che parte dall’albergo, si arriva in breve all’Alp Ota Suot 2022 m, dove si lascia a destra la deviazione per la Chamanna Coaz, per proseguire diritti. Poco dopo si aprirà davanti ai nostri occhi, in tutta la sua completezza e maestosità, il settore occidentale del massiccio del Bernina. A sinistra si inoltra la piccola valle scavata dal Vadret da Tschierva che con il suo ritiro ha lasciato una imponente morena. Al di sopra della lingua terminale del ghiacciaio si scorge uno sbarramento formato da una imponente e tormentata cascata di seracchi. La testata della piccola valle è formata dalie principali cime del gruppo. Da sinistra sfilano il Piz Morteratsch 3751 m, il Pizzo Bernina, che mostra di profilo la bianca linea della sua celebre cresta Nord, nota come “la scala del cielo”, il Piz Scerscen 3971 m e l’elegante sagoma del Piz Roseg 3937 m, forse la più bella montagna fra tutte quelle descritte fin qui. Impressionante è la sua parete settentrionale ricoperta quasi esclusivamente da uno scivolo di ghiacci, interrotto da grandi seracchi. La cresta settentrionale del Roseg si abbassa verso il fondovalle e dopo essersi innalzata nuovamente con il Piz Aguagliouls 3118 m, scende sulla Val Roseg separando in Vadret da Tschierva dalla grande superficie ghiacciata del Vadret da la Sella e del Vadret da Roseg che si uniscono a formare l’anfiteatro che chiude a Sud la valle. La cresta spartiacque del massiccio in questo punto si mostra molto meno rilevata ed imponente. Le cime si elevano di poco dalla massa di ghiaccio che sembra arrampicarsi fino alle massime elevazioni soffocandone lo slancio. Questo tratto della catena è noto agli alpinisti come il Sottogruppo Piz Glüschaint – Piz Sella. Spiccano qui le cime del Glüschaint 3593 m, dalle eleganti forme coniche, e quelle vicine de La Sella, formata da due vette quasi gemelle che occupano la posizione centrale del Sottogruppo. Glüschaint in lingua ladina significa luccicante e in effetti, spesso, al tramonto le ghiacciate pareti di questa vetta splendono così vivamente da essere visibili anche a grande distanza. Il sentiero che ci ha portato alla testata della Val Roseg giunge nei pressi di un grande e verdissimo lago glaciale, alimentato dalle acque di fusione del Vadret da Roseg e del Vadret da la Sella. Fino a luglio, ma spesso anche a stagione avanzata, nelle sue acque galleggiano piccoli e grandi iceberg. Le montagne che abbiamo sommariamente descritto sono state teatro di alcune delle maggiori scalate compiute nel tardo 800. Protagonisti di queste imprese furono le abilissime guide di Pontresina che accompagnarono i loro clienti nell’esplorazione dei più remoti angoli del massiccio. La bellissima e difficile parete Nord-est del Piz Roseg fu scalata nel giugno del 1890, dalla guida alpina e maestro elementare Christian Klucker con il suo fidato cliente Normann-Neruda. Fu un’impresa memorabile che portò alla realizzazione di una delle più difficili vie di ghiaccio delle Alpi. Si tenga inoltre presente che i due la condussero senza usare i ramponi ai piedi.

Percorso

Per arrivare all’Hotel Roseg non occorre molta fatica ed esistono diverse possibilità: ci potremo avvalere della normale strada sterrata oppure di un sentierino che corre parallelo ad essa, sull’altra sponda dl torrente di fondovalle. Un’alternativa più comoda consiste nell’utilizzo della bicicletta. Il fondo stradale è talmente buono che potrebbe bastare una normale bici da città dotata di cambi. Si tratta di una piacevolissima pedalata di circa 7 chilometri che vedrà ripagata la nostra fatica con un ritorno divertente e assai più rapido che non a piedi. In alternativa si può sempre usare il servizio di carrozze ed omnibus a cavalli, che garantisce un piacevole tragitto permettendo al turista di dedicarsi completamente alla contemplazione dei luoghi. D’inverno quando la valle ospita una rinomata pista per lo sci di fondo, le carrozze vengono trasformate in romantiche slitte. Per imboccare la strada della Val Roseg è sufficiente arrivare alla stazione ferroviaria di Pontresina, dove si trovano numerosi parcheggi a pagamento. Seguendo l’evidente cartellonistica, si imbocca la strada che ci condurrà verso il cuore del Bernina. Dalla stazione si può però anche traversare l’Ova da Roseg (l’acqua di Roseg), per poi deviare a destra iniziando la mulattiera di cui si è fatto cenno. In questo caso il percorso è molto più suggestivo e riposante rispetto a quello compiuto sulla strada. Si entra in un bel bosco dove può capitare di imbattersi in qualche scoiattolo che per nulla intimorito si lascia avvicinare. Il percorso prosegue tenendosi vicino alle sponde del torrente mentre sul versante opposto s’innalza la ripida e aspra muraglia di erbe e fasce rocciose della costiera Piz Surlej – Piz da Staz. Su questi ripidissimi pendii non è difficile avvistare branchi di camosci che sembrano sfidare le leggi della gravità. Nei pressi di Acla Colani 1847 m, e di Alp Prüna 1913 m è possibile traversare il torrente e collegarsi alla strada interrompendo o variando la gita. Restando invece sul sentiero, si continua nel bosco, per poi sbucare sulla strada di fondovalle che ci porta fino all’Hotel Roseg 1999 m.

Dall’Hotel Roseg alla Chamanna da Tschierva

Appena prima del ponte sul torrente di fondovalle oltre il quale sorge l’Hotel Roseg si prende il sentiero che si stacca sulla sinistra e, dopo un tratto di fondovalle, si sale prima in lenta diagonale e poi con un tratto a tornanti guadagna quota fino al Margun Misaun 2245 m ove volge a Sud-ovest. La salita riprende ancora molto dolce avvicinandosi alla morena laterale destra orografica del Vadret da Tschierva che si costeggia e con un’ultima serie di tornanti si raggiunge il rifugio.

Dall’Hotel Roseg alla Chamanna Coaz

Dall’Hotel Roseg per sentiero segnalato si segue il fondovalle fino all’Alp Ota Suot da dove inizia la salita verso destra che porta al Margun da l’Alp Ota 2257 m. Si sale con qualche tornante per poi riprendere il lento diagonale verso Sud passando per il ripiano del Plaun dals Suts 2679 m. In leggerissima discesa si raggiungono i pendii morenici sottostanti il settore occidentale del Vadret da Roseg e con un ultimo arco di cerchio verso Sud-est si raggiunge il rifugio.

 

NOTA: la passeggiata può essere condotta in maniera ancor più originale e divertente usando il trenino della Ferrovia Retica che parte dalla Stazione di Tirano diretto a St. Moritz. Chi volesse potrebbe addirittura partire con questo mezzo già da Milano.

 

Sentiero dei Celti e dei Liguri da Milano al mare attraverso l’Appennino

A piedi, zaino in spalla, da Milano fino al mare, attraverso l’Appennino, lungo il sentiero di Celti e liguri, con le Guide ambientali escursionistiche: il primo percorso a piedi da Milano al Mare Ligure, attraverso l’Appennino. Dopo anni di ricerche nelle meravigliose valli dei Celti e degli antichi Liguri, il 28 maggio partirà proprio da Milano, una della principali metropoli economiche italiane, il percorso ideato da Emanuele Mazzadi – Gruppo Guide Ambientali Escursionistiche Valtaro e Valceno, promosso dal Consorzio Alte Valli e con il patrocinio di AIGAE, a cui ha lavorato un gruppo di Guide composto da Giacomo Agnetti, Elisa Bortolin, Angelo Ghiretti, Annalisa Guaraldo, Fabrizio Zaretti e altri che si stanno unendo in questi giorni.

Un collegamento tra Appennino e Mar Ligure: Lombardia, Emilia-Romagna e Liguria, unite da un unico, bellissimo percorso nella natura.

La partenza sarà dal Duomo di Milano, rendendo l’itinerario unico nel suo genere, per toccare il Naviglio pavese, costeggiare il Ticino, il Po ed addentrarsi nell’oltrepo pavese tra borghi e vigneti.

Il percorso arriva quindi in territorio piacentino tra Val Tidone e Val trebbia, per toccare Bobbio in cui si trova uno dei più importanti centri monastici d’Europa: l’abbazia fondata da San Colombano, monaco irlandese.

Si giunge al Monte Penna, vero cuore dell’itinerario ( pare il nome derivi dal Dio Pen, adorato dagli antichi Celti Liguri quale nume delle vette), e oasi di enorme pregio naturalistico dove si trovano il Parco regionale dell’Aveto, diversi Siti di Interesse Comunitario, le sorgenti dei fiumi Taro e Ceno. Si arriva quindi all’Alta via dei monti liguri: la Val Graveglia, il comprensorio geologicamente più interessante d’Italia: miniere di manganese ancora visitabili, cave di diaspri, aree carsiche, per giungere finalmente al mare: Sestri Levante, uno di borghi più suggestivi della costa ligure, con le due baie del Silenzio e delle Favole.

L’itinerario diventerà un prodotto turistico, con escursionisti che potranno farlo nella sua interezza o a tappe – ha dichiarato Emanuele Mazzadi, ideatore del progetto – come avviene per altri cammini. Il percorso alimenterà l’economia dei luoghi attraversati, dei borghi rurali dell’entroterra, con frequentazione anche ben oltre il periodo estivo, darà grande visibilità ad aree oggi marginali: l’idea che le valli dell’Appennino siano l’oasi di Milano, invoglierà tante persone a visitare questi luoghi.”

Un segnale di riequilibrio territoriale tra zone con densità molto diverse.

E’ possibile effettuare donazioni con contributi anche piccoli per la realizzazione del sentiero, tramite questo link:

https://ko-fi.com/celtiliguri

Per seguire il gruppo in cammino e il progetto: www.facebook.com/sentiero.deicelti.edeiliguri