L’escursionismo, il trekking, l’esplorare zone selvagge e sconosciute o solo il percorrere dei cammini di pellegrinaggio prevedono un gesto fondamentale per il nostro sviluppo che ci ricollega ai nostri antenati: camminare. Qualsiasi cosa noi abbiamo fatto e facciamo tutt’oggi parte dal semplice gesto del muovere le gambe per camminare. Questo gesto lo abbiamo ben impresso nel nostro DNA e fa parte della memoria di qualsiasi essere umano su questo pianeta. L’uomo ha sempre camminato da quando andava all’inseguimento delle prede e poi delle mandrie. Il cammino ci ha aiutato nello sviluppo per più di 100.000 anni. Fino a quando non siamo diventati una specie stanziale. L’Homo sapiens è stato un eccellente cacciatore- raccoglitore e si è evoluto conducendo un’esistenza nomade, esplorando i più svariati angoli del pianeta, riuscendo ad adattarsi e popolare buona parte di tutti i continenti. L’evoluzione anatomica e culturale che ci ha permesso di esplorare e conquistare tutto il mondo si blocca nel momento che in cui si ferma il “nomadismo” per lasciar spazio alle abitudini stanziali che abbiamo ora.
Ma come ha fatto l’Homo sapiens a percorrere in lungo e in largo tutti gli ambienti e sistemi vegetazionali di questo pianeta, senza l’ausilio di attrezzature moderne, scarponi, abiti, strumenti tecnologici e GPS (Global Positioning System) vari?
La risposta è che abbiamo popolato l’intero pianeta facendo affidamento solamente sui nostri mezzi e sulle nostre capacità, per secoli tramandate a voce di generazione in generazione, fino a riuscire a sviluppare delle conoscenze che oggi possono sembrare incredibili.
Cosa abbiamo perso durante il nostro cammino?
Abbiamo perso il rapporto con l’ambiente. La capacità di viverci senza l’ausilio di moderni mezzi e con tutte le invenzioni che abbiamo non facciamo altro che emulare le altre specie animali che vivono e si muovono senza problemi.
Oggi sono davvero poche le popolazioni umane che mantengono uno stretto rapporto simbiotico con l’ambiente. Nessuna di queste è in Europa centrale, alcune sono in Asia, Africa e in Oceania e per loro il territorio è in pratica un’estensione dei propri arti, una connessione una conoscenza che noi non riusciremo mai più a capire. Gli Aborigeni australiani ad esempio si orientano ancora con dei punti sacri della loro terra, cantando delle melodie segrete. Altre popolazioni ascoltano il soffio del vento per capire in che direzione andare e altre guardano il transito degli animali selvatici in determinati periodi dell’anno.
Questo avviene ancora oggi perché queste popolazioni hanno bisogno di sapere dove vanno e quando conviene muoversi. La oro vita dipende dalla natura e dalla presenza di animali e piante intorno a loro. Hanno sviluppato un altissimo senso dell’orientamento e una conoscenza capillare del territorio in cui loro e le loro prede si muovono. Riescono così a vivere e prosperare. Da migliaia di anni.
Queste abilità, l’escursionista occidentale moderno non le possiede. Possiede attrezzature molto tecniche e costose. Possiede ottime conoscenze teoriche e una notevole cultura generale ma per muoversi sul territorio, oggi, facciamo sempre più affidamento a sistemi moderni come la bussola (che così moderna non è visto che è stata inventata circa 2000 anni fa in Cina), la cartina topografica e il già menzionato GPS).
La capacità di orientamento che ha la starna artica, che ogni anno percorre circa 70 000 chilometri per migrare dalle regioni artiche fino all’Antartide, seguendo non si è ancora capito cosa, noi ce la sogniamo. Come sogniamo la capacità dei cervi, degli orsi e dei lupi di e dimolti altri animali di muoverci sul territorio senza luce.
Noi non riusciamo più a percepire i segnali del territorio, non possiamo più pensare di muoverci senza telefonino o senza auto. Guardiamo l’ambiente che ci circonda con circospezione e paura e siamo ossessionati dalla sicurezza a tutti i costi. Dobbiamo però capire che qualsiasi attività intraprendiamo contempla un certo grado di rischio e una attenta valutazione dei rischi. Cosa facciamo quando dobbiamo attraversare la strada? Anche inconsapevolmente valutiamo il rischio giusto? Ma non troviamo segnali ovunque che ci intimoriscono e ci intimano di non attraversare o di attraversare la strada solo se attrezzati. Quando andiamo a camminare in natura però è diverso. Prendiamo come esempio la semplice escursione fuori porta lungo il primo sentiero di montagna che capita. All’inizio del cammino spesso troviamo segnali di rischio e avvisi su cosa fare in caso di chiamata di soccorsi, su come andare equipaggiati e così via. Secondo me oggi quando si parla di escursionismo e frequentazione dell’ambiente naturale ci si dilunga troppo in una ossessiva ricerca della sicurezza e dell’equipaggiamento, senza dare peso alle sensazioni e capacità personali. Questo perchè abbiamo perso il contatto con l’ambiente.
Ma se gli studi scientifici affermano che stare in natura e nei boschi fa bene al corpo e allo spirito perché tanta paura a “lasciare il nostro comodo nido” e uscire?
Il mio obiettivo è proprio questo. Far capire alle persone che è possibile, anzi necessario, uscire sempre più spesso in natura e recuperare quell’antico rapporto simbiotico (ribadisco, simbiotico) che avevamo un tempo. E come?
In un momento delicato come questo la risposta è abbastanza facile da intuire. Lasciando perdere le comodità che la continua ricerca del comfort ci ha portato (abbiamo confuso il comfort con il progresso e questo ci ha reso pigri fisicamente e mentalmente), lasciando perdere la negatività, lo stress causato da uno stile di vita al limite della sopportazione umana. Proviamo a lasciare il miraggio di un continuo sviluppo economico e di un pianeta con risorse infinite che regalerà felicità e serenità a tutti.
Non sono qui per parlare di utopie, ma voglio parlare di cosa si può fare per tornare a dimensioni “umane” e di conseguenza stare meglio.
Intorno all’anno 2007 ho scelto di fare la Guida Naturalistica perché, oltre ad avere una passione irrefrenabile per la natura e la vita all’aria aperta, avevo capito che per un mondo migliore ci vogliono persone migliori. Persone più bilanciate, positive e consapevoli. Stare nei boschi aiuta proprio a essere più bilanciati, positivi, sani e consapevoli. Credo che tutte le Guide come me debbano comprendere che facciamo un lavoro importante e delicato e che dobbiamo stare molto attenti a cosa trasmettiamo, soprattutto ai più deboli, che non sono divisi per età ma sono sono quelli che non sono abituati a uscire dalle loro asettiche orbite cittadine. Può sembrare incredibile che qualcuno dica una cosa come questa, ma il mio è obiettivo aiutare le persone che non sanno che uscire nei boschi fa bene (credetemi ce ne sono moltissime). Voglio far capire loro che nei boschi si possono imparare molte cose e che non serve aver paura di pericoli immaginari. Il lupo non è mannaro, le vipere non fanno i salti, la pioggia non ci scioglie e le nevicate non sommergono tutto il paese di neve (almeno, non sempre 😉 ). Quando per lavoro esco in escursione con clienti e amici, cerco sempre di trasmettere l’idea di non restare chiusi nel proprio bozzolo di comfort e assoluta sicurezza ma di aprirsi agli eventi e lasciare un po’ di spazio alle sorprese, agli imprevisti,…alla vita! In questo modo i sensi si risvegliano e di conseguenza ci si consapevolizza.
So che ci sono molte persone che quando vanno a “passeggiare” in bosco o in montagna, spengono del tutto la mente e STOP, e su questo non ho nulla in contrario. Ma molte altre invece quando escono vorrebbero imparare cose nuove, vorrebbero scoprire piante, animali, luoghi e magari sperimentare emozioni intense. E’ a queste persone che mi rivolgo!
A coloro che quando escono vogliono aumentare la loro sensibilità, i loro sapere e le loro conoscenze, a loro che sanno che possono tornare a vivere stimoli vitali intensi e nuovi!
Camminare consapevolmente e lasciando spazio alle sorprese ci da modo di imparare moltissime cose sul luogo in cui siamo e su noi stessi. Sapere orientarsi senza cartina, solamente osservando l’ambiente è una capacità che oltre ad aiutarci in modo pratico ci da una botta incredibile di autostima. Sapere cosa fare se dobbiamo accendere un fuoco e non abbiamo un accendino può salvarci la vita oltre che la giornata. Capire quando è il caso di battere in ritirata perché entro qualche ora comincerà a piovere è fondamentale, come lo è saper calcolare i tempi di marcia un’ora prima del tramonto.
E’ certamente importante andare a camminare ben attrezzati ma dobbiamo sapere che ciò non basta se vogliamo intraprendere un cammino di miglioramento e raggiungere la consapevolezza di poter contare sulle nostre capacità e abilità non sull’attrezzatura. Non sono gli acquisti che fanno la differenza tra una indimenticabile esperienza e la solita noia.
Oggi possiamo trovare di tutto nei negozi di sport specializzati in trekking e montagna, considerando anche le grandi catene. In un qualsiasi giorno della settimana potremmo procurarci tutto il necessario per tentare la salita all’Everest (secondo voi come poteva essere equipaggiato Hillary nel ’53 quando raggiunse e scese dalla vetta della montagna più alta del mondo? E quali attrezzature aveva la spedizione italiana del Duca degli Abruzzi quando arrivò in cima al K2 nel ’54?), ma sappiamo bene che questo non basta e che ci vogliono tecnica, sensibilità, conoscenza e esperienza. Tutte qualità che si raggiungono in lungo tempo di pratica e dedizione.
Se vogliamo intraprendere un cammino di miglioramento personale è necessario farlo con il giusto approccio, con calma, passione e umiltà.
Le attività in natura hanno tutto ciò che serve per farci stare meglio e farci progredire nel nostro cammino. Diamo al tempo trascorso nei boschi il giusto valore e il giusto peso. Ci stiamo ri-educando a uno stile di vita che appartiene all’essere umano da millenni. Non perdiamo questa occasione.