Il Castello Aghinolfi di Montignoso tra storia e tradizioni

Montignoso: il Castello Aghinolfi tra storia e tradizioni.

Le origini di Montignoso sono antichissime. La leggenda narra che il borgo più antico sarebbe nato da un insediamento chiamato Corsanico costruito da alcuni corsari che sbarcarono sulle coste e si spinsero verso l’interno. Un’altra leggenda narra che nel 570 la vicina Luni decise di allontanare i malfattori relegandoli in questa località.

Il nome deriva da Mons Igneus (monte di fuoco) per l’abitudine di accendere fuochi per inviare segnali ai marinai.

Il vero gioiello di Montignoso è il Castello di Aghinolfi, situato su uno sperone roccioso e che ha sempre rivestito una grande importanza per la sua posizione strategica. Dai suoi spalti si ha una vista completa sul litorale tirrenico, sull’intera vallata percorsa dal torrente Pannosa e si può esercitare il controllo della Via Francigena.

Il nome ne attesta la chiara origine longobarda e le milizie della Regina Teodolinda trasformarono il Castrum Aginulfo (successivamente italianizzato in Aghinolfo e poi Aghinolfi) in una fortezza longobarda. Il Castrum divenne il castello più potente della vallata dove trovavano rifugio le popolazioni della zona in caso di pericolo.

Paolo Diacono, monaco cristiano, storico e scrittore longobardo ci ha tramandato una curiosa leggenda longobarda che riguarda in parte anche il Castello Aghinolfi:

Teodolinda, figlia di Garibaldo re dei Bavari, nel 589 sposò Autari, Re del Longobardi molto interessato a stringere rapporti con le popolazioni d’oltralpe mediante vincoli famigliari.

Re Autari aveva mandato a chiedere in sposa Teodolinda e il padre di lei aveva acconsentito. Appena conosciuta la risposta, Autari era partito con pochi fidi, in incognito, per andare a vedere la futura sposa; lo accompagnava un vecchio e fidato servitore, uomo di nobile aspetto, che, appena giunto al cospetto del re Garibaldo, pronunciò alcune frasi di saluto, secondo l’usanza. Poi Autari, conservando l’incognito, disse al re:

«II mio signore Autari mi ha mandato qui perché io veda la sua futura sposa e nostra regina, affinché possa poi descrivergliela». Garibaldo fece venire la figlia. Autari la guardò in silenzio, ammirato della sua bellezza, e soddisfatto della scelta disse al re: «Vostra figlia è proprio bella, e degna di essere la nostra regina. Se non avete nulla in contrario, vorremmo ricevere dalle sue mani una tazza di vino, come ella dovrà fare spesso alla nostra corte». Garibaldo acconsentì, e la principessa servì prima il vecchio servo, che sembrava il personaggio più autorevole, e poi Autari, senza nemmeno immaginare che proprio quello fosse il suo futuro sposo. Nel rendere la coppa, Autari le sfiorò la mano con un dito e se lo passò sul viso.

Quando la principessa, arrossendo, riferì la cosa alla nutrice, questa le disse: « Se quello non fosse il tuo futuro sposo, non avrebbe certo osato toccarti. Ma per ora facciamo finta di niente. È meglio che tuo padre non sappia, ma secondo me quello è il re, e vedrai che sarà per te il marito ideale».

Le nozze vennero celebrate in una giornata tempestosa e piena di fulmini. Tra gli invitati c’era Aginulfo, duca di Torino e cognato di Autari.  Aginulfo aveva fra i suoi uomini un indovino che sapeva interpretare i fulmini.  L’indovino chiamò in disparte il suo signore e gli disse: «Tra non molto la donna (Teodolinda) che ha sposato il nostro re sarà tua moglie». Il duca minacciò di farlo decapitare se avesse osato aggiungere una parola, ma l’indovino replicò: «Puoi farmi uccidere, ma non puoi modificare il corso del destino. Quella donna è venuta per unirsi in matrimonio con te».

E in effetti ciò accadde più tardi quando Autari morì, forse avvelenato e Teodolinda decise di sposare  Aginulfo.

La Regina Teodolinda, donna bella e intelligente,  esercitò un grande potere su Aginulfo tanto da indirizzare molte sue scelte politiche e amministrative. Era una fervente cattolica e convinse il marito a convertirsi al cattolicesimo ma fu anche l’artefice della conversione al cattolicesimo di tutto il popolo longobardo.

Si narra infatti che la conversione al cristianesimo dei Longobardi sarebbe stata sancita tra Teodolinda e Gregorio I, detto Magno, alla fine del VI secolo proprio nella Torre di Aginulfo poi Aghinolfo ( di seguito  Fortezza/Castello Aghinolfi)

I discendenti di Aghinolfo ne mantennero il possesso sino al 1376 quando il Castello passò alla Repubblica Lucchese

Secondo antiche leggende la tradizione della festa della Pefana, molto cara ai Montignosini, trarrebbe origine proprio da queste antiche vicende storiche.

Durante la festa che si svolgeva la sera del 5 gennaio e terminava la mattina del 6 gennaio, piccoli cortei di giovani, mascherati con mantelli, cappellacci e maschere (cioè in “anonimato”) guidati da una “guida” senza maschera (cioè da un “garante nobile e fidato”) percorrevano le vie dei borghi con stridori e campanacci. Bussavano alle porte delle case dei compaesani offrendo dolcetti ed altri piccoli doni ai bimbi che incontravano. Ne ricevevano in cambio qualche bevanda calda e piccoli doni o dolci.

Non pronunciavano parola, ma permanevano qualche istante nelle case che li avevano accolti in silenzio assoluto, mentre la guida scambiava un saluto con i padroni di casa.

Questi erano i piccoli cortei dei “Pefani”. Qualcuno dei “Pefani” sfiorava le mani della padrona di casa, qualcun altro toccava i mobili, qualcun altro toglieva dalle tasche dolcetti vari e frutta secca. E tutti mostravano rispetto ed attenzione reverenziale per il padrone di casa.

Gli abiti erano sobri, se non poveri. I mascheramenti ricordavano tempi passati e riti lontani.

La cerimonia era molto semplice e affascinante allo stesso tempo. La semplicità dell’impianto scenico e il silenzio rotto dai suoni dei campanacci erano tali da suscitare emozioni e meraviglia in grandi e piccini.

La festa nel corso degli anni si è arricchita di canti, danze e nuovi mascheramenti.

Non sappiamo se questa tradizione affondi davvero le sue radici nei tempi lontani della Regina Teodolinda ma ci piace crederlo.

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