Di quello che un tempo fu un caposaldo di controllo e di potere lungo la via obbligata tra la valle di Montelanico, i pascoli di altura del Campo e la Pianura Pontina, oggi rimangono vestigia avvinte dalla rigogliosa vegetazione sull’omonimo colle, raggiungibile attraverso un sentiero nel fitto del bosco. Lasciata via di Collemezzo al primo tornante ci si addentra nel bosco verso sud aggirando le pendici del colle, fino a quando il sentiero placido risale fino alla cresta, qui proseguendo verso nord, tra macchie di rovo e rosa canina, ci si imbatte in un banco roccioso; è solo allora, alzando gli occhi, che ci si rende conto di trovarsi ai piedi dell’antica torre del castello che ancora svetta, seminascosta tra i cespugli, provata ma non vinta dal tempo. Si risale il banco, con lo sguardo ancora in su, dove il cambio di prospettiva scopre un merlo superstite del torrione e si scorgono i resti di un muretto divisorio, poi quasi si cade in un foro rettangolare nel terreno, a poca distanza, l’antica cisterna dell’acqua. Sulla sommità del colle non c’è altro, se non arbusti di ginepro e rovo, ma i fianchi della collina restituiscono, in uno scenario spettacolare, immerse in squarci di verde cupo e brillante spaccati anche imponenti di mura difensive che disegnano e inseguono il profilo fianco roccioso. Invase e sommerse, a volte sorrette da radici e arbusti le mura ricordano tutta la gloria passata, oggi di nuovo dominio del bosco. Aceri e faggi inglobano le millenarie strutture, rendono selvagge le antiche superfici di blocchetti ben squadrati, conquistano le fessure dello scolo dell’acqua.
Per circa due secoli il castello rappresentò lo strumento con il quale la famiglia dei Collemezzo, amministrava e controllava un territorio che comprendeva sicuramente l’attuale Campo di Montelanico, fino agli attuali confini col territorio di Carpineto Romano, attraverso i quali passavano mandrie di armenti nella via della transumanza, ma anche merci e uomini dal versante pontino dei monti Lepini, attraverso il passaggio verso Ospedaletto. Non a caso la strada più antica che conduce da Montelanico al Campo, e che si snoda ancora, semidimenticata, a sud dell’attuale tracciato ha inizio proprio alle pendici di Collemezzo, segno evidente dell’importanza e del controllo che una volta tale maniero esercitava.
Nulla si conosce rispetto alla fondazione del castello, ipotizzabile intorno al XII secolo d.c. La prima notizia certa che è stata possibile reperire, risale al 1182, precisamente ad una bolla di Papa Lucio III. In tale documento il Pontefice conferma una serie di privilegi al vescovo di Segni Pietro su chiese e relative pertinenze sparse in gran parte della valle del Sacco. Tra questi si cita anche la chiesa di S. Maria nel Castello di Collemezzo. Il Papa successivo, Clemente III, con bolla del 1188, confermerà di nuovo al vescovo Pietro gli antichi privilegi, con specifica menzione, tra gli altri di Collemezzo.
Bisognerà aspettare ancora un po’, affinché la storia prenda contorni più nitidi, precisamente nel 1199, anno in cui compare nei documenti un Siginolfo di Collemezzo tra i testimoni della donazione fatta da Giovanni dei Conti di Ceccano ai monaci di Villamagna di un oratorio a Carpineto.Si giunge così al 1207, quando nel resoconto fatto da Joannes de Sancto Laurentio a Papa Innocenzo III, circa l’atto di omagio portato allo stesso Pontefice da un tale Conte Ildebrando a Montefiascone, si enumerano una serie di nobili presenti alla cerimonia, fra i quali un dominus Guido de Colle de Mendi, Guido di Collemezzo.
Due anni più tardi, nel 1209, ancora Joannes de Sancto Laurentio riferisce al Pontefice di un nuovo atto di fedeltà e omaggio da parte del Conte Riccardo di Sora, anche stavolta tra i testimoni viene citato Guido di Collemezzo, insieme ad un dominus Lando de Colle de Medio. Proprio in questo frangente un tale Landolfo di Collemezzo viene nominato dal 1207 al 1209 da Innocenzo III Rettore della Provincia di Campagna e Marittima, una specie di governatore del Lazio del sud. Altre apparizioni in quegli anni citano, tra gli altri, un Landone di Collemezzo che è presente all’atto con il quale Pietro, nipote di Bonifacio VIII ottiene, grazie proprio allo zio, in enfiteusi tutti i beni e privilegi che la chiesa anagnina aveva a Trevi, Filettino e Vallepietra.
Proprio la figura del Papa anagnino risulterà fatale al castello, poiché esso rientrerà in pieno nella sua politica di concentramento dei possessi e beni del Lazio nelle mani della propria famiglia.Già nel 1300 il “nobile” Giacomo di Collemezzo vende al citato Pietro l’ottava parte (che gli spettava) di Collemezzo per la somma di 2000 fiorini d’oro, mentre nel 1303 sempre Pietro viene riconfermato nel possesso, tra gli altri del castello di Collemezzo, che quindi a quell’epoca è passato, almeno in parte nella disponibilità della famiglia Caetani. A partire dal 1300 risulta feudatario del castello Guido di Collemezzo, che, proprio in virtù della posizione di dipendenza cui versava il feudo partecipa, nel 1303 all’oltraggio di Anagni nei confronti di Bonifacio VIII. Nel 1308 egli risulta anche padrone del castello di Montelanico, che però nel 1313 viene distrutto da una reazione dei Caetani, azione cui seguirà un’energica protesta di Guido nei confronti del Rettore.
Il castello, dopo questi avvenimenti ebbe vita breve, non molto più tardi del 1327, infatti, “…. insorsero anche delle forti dissensioni fra il popolo di Cori, e gli abitanti di Colle mezzo, castello poco distante da quella città […]. Offesi i corani dalla viziosa condotta de’ predetti abitanti, non invocarono il soccorso della suprema autorità, per essere vendicati dalle offese, ma, usciti in grossi drappelli armati dalle mura della loro patria, marciarono militarmente a danno di quel castello, che presero e distrussero”. Così narra Sante Viola, nella sua Memorie Istoriche dell’Antichissima Città di Cori ne’ Volsci, la fine del castello di Collemezzo ed io non posso fare a meno di immaginare queste schiere di corani che discendono l’antica via quasi dimenticata dal Campo di Montelanico verso Collemezzo, lì dove oggi, tra la pace di quei luoghi ed il silenzio di una via quasi scomparsa che conduce ad un castello diruto, si incontra a mala pena qualche cercatore di funghi o qualche sparuto appassionato di trial… per fortuna.