Il 2021, nel turbinio di una pandemia mondiale che non accenna a placarsi e dei sempre più forti segnali di cambiamenti climatici dai risvolti drammatici per noi umani, è anche l’anno in cui iniziare una seria riflessione sul nostro sistema di parchi.
150 anni fa quasi (il compleanno è l’anno prossimo) nasceva il primo parco naturale al mondo: Yellowstone, un’area protetta bellissima, fatta di geyser e vulcanesimo attivo, popolata da orsi e da lupi (reintrodotti con successo).
In Italia 50 anni dopo (il compleanno è sempre l’anno prossimo) nascevano i nostri decani: il Gran Paradiso e l’Abruzzo-Lazio-Molise, due aree protette d’eccezione, popolate da specie animali rare e importanti: l’orso bruno marsicano, lo stambecco, il camoscio appenninico…
Per tanti anni il Belpaese è stato il fanalino di coda della conservazione della natura in Europa, ma poi sotto la pressione popolare, mentre fuori delle aule del Parlamento fischiava la bufera di “tangentopoli” e l’immane disastro di Chernobyl… ecco nascere la legge quadro sulle aree naturali protette, la 394 che il 6 dicembre di quest’anno compie i suoi 30 anni.
Una legge che ha portato la conservazione attiva della natura italiana dal 3 all’11% e se si considera la rete Natura 2000 (i siti di importanza comunitaria e le zone di protezione speciale per gli uccelli, oggi noti anche quali zone speciali di conservazione) arriva al 20% del territorio nazionale.
Tante parti del territorio nazionale, con elevata qualità ambientale, sono ancora prive di vera tutela, ma i risultati raggiunti con questa legge sono straordinari… testimoniata dalla ripresa di tante specie minacciate che costellavano la mia adolescenza come un dolore fisico per l’indifferenza dell’uomo… e che oggi sono la consolazione dei nostri figli.
La legge 394, osteggiata come tutte le leggi ambientali da chi ha forti interessi economici da difendere e da chi è sempre sul bilico dell’oscurantismo, venne approvata sul fil di lana della chiusura di quella lontana legislatura.
Si porta dietro alcuni limiti che ne hanno limitato l’efficacia: l’assenza di un vero coordinamento nazionale tra le diverse forme di aree protette, l’assenza di una scuola dei parchi, l’aver lasciato la sorveglianza delle aree protette alle forze dell’ordine piuttosto che lasciare alla gestione degli enti parco, l’aver lasciato fuori dai parchi le guide. Tutto questo assieme alla generale debolezza di personale (con poche eccezioni qua e la), alla errata classificazione dei parchi in termini amministrativi, alla separazione di gestione tra la terra e il mare, vera cenerentola della conservazione italiana, hanno fortemente limitato l’efficacia dello straordinario e generoso lavoro della gente dei parchi.
Sono un po’ di anni che riflettiamo su questi temi, anche grazie a due esperienze universitarie, il master “governance delle aree naturali protette” dell’Università del Molise (esperienza conclusa) e il master “capitale naturale e aree protette” dell’Università La Sapienza a Roma (esperienza in corso)… in qualche modo un tentativo di rimediare all’assenza di una scuola dei parchi, come dicevamo.
Se dovessimo tirare le fila si può sicuramente dire che il silenzio venatorio e il lavoro dei parchi ha dato grandi risultati in termini di tutela, ripresa, re-introduzione di tante specie animali importanti.
Il lavoro dei parchi ha portato molti benefici in termini di conservazione attiva delle specie floristiche, vegetazionali, degli ambienti, della natura e del paesaggio. Ci sono stati anche ottime iniziative per i paesaggi culturali, lavorando per mantenere la gente in montagna, preservandone lo specifico modo di vita, contro la banalizzazione globalista della vita nelle metropoli, autentico “vulnus” ambientale del pianeta.
Su questo terreno, però, c’è ancora molto da fare.
Passare dal governo dei territori alla governance non è facile. Saper ascoltare e stimolare la crescita culturale non è facile. Ci vuole tempo e gente preparata. I parchi spesso, come detto, hanno pochissime persone al lavoro. Gli orari di lavoro non sono pensati per andare incontro alla gente. Se sei chiuso il sabato e la domenica, alle feste comandate, la sera e quasi tutti i pomeriggi… beh di turismo sostenibile ne costruisci poco.
Allora il rapporto con la gente resta sulle spalle del direttore (e dipende da chi capita, perché visto che non si studia da direttore o da presidente o da consigliere o da funzionario di parco… tutto dipende da quanto in fretta si impara il mestiere) e di pochi altri.
Tutto questo mi è stato offerto alla riflessione in un splendida settimana di sole passata di fronte alla Tunisia, nella bellissima isola di Pantelleria, il più giovane parco nazionale italiano.
Un parco che ha subito puntato sull’escursionismo.
Andare in giro in questo “cantiere” della vita Outdoor è stata una carica multivitaminica: tabelle in legno con le indicazioni dei sentieri, mappa dell’escursionismo, corsi per guida del parco… la strada giusta per de-stagionalizzare il turismo estivo e offrire molto di più che non il solo, bellissimo e ricco di vita, mare dell’isola.
La strada giusta, che seguiremo con questa rubrica ospitata da escursionismo.it
I Parchi sono Cultura, una delle più originali idee dell’Umanità per arrestare la cementificazione del globo, per preservare la vita selvaggia, per lasciare uno spazio dove immergersi nello spirito autentico della Madre Terra.
Ogni politica di gestione di un’area protetta e ogni attività di divulgazione dei territori dovrebbe tenerne conto, altrimenti i parchi perdono di significato e ne emergono solo le umane debolezze, le discussioni politiche, i divieti…
Nino Martino