A nord – ovest della città di Verona,
tra la frazione di Avesa e l’inizio della
Valpolicella, si adagia il borgo di Quinzano.
La sua posizione geografica lascia subito intendere un
insediamento orientato lungo il corso di una valle circondata da olivi e viti
coltivati sulla fascia collinare più vicina alla città.
L’uomo si insediò in questa zona già nell’epoca preistorica
– circa 200 mila anni fa – nelle cave di argilla e tufo presenti
nelle colline.
Con l’insediamento romano venne preparato un avamposto fortificato
sullo sperone roccioso che si ricorda nel toponimo attuale di Castello.
Collocato nei pressi della piazza principale – piazza Righetti – nel corso del ‘500
venne trasformato in villa di campagna dalla famiglia Rizzoni.
La caratteristica della fortezza, con volumi forti che crescono dalla terra,
e la merlatura che ricorda l’epoca scaligera durante la quale probabilmente
venne apposta, è stata così ingentilita dalle aperture di molte finestre.
La piazza – ieri come oggi – è anche il punto di riferimento
dell’agglomerato. Lambita lateralmente dalla strada di congiunzione
collina / città che attraversa l’abitato, ha nella parte nord la sede comunale
alloggiata nella villa Muselli – Canossa.L’edificio è costruito sul terreno con
grandi finestre per dare luce all’interno e offrire una visione aperta e
spaziale al termine del borgo.
Sul lato sinistro per chi sale si trova il borgo antico costituito da vecchie case costruite
nel terreno e che forniscono il paesaggio romantico dell’epoca medievale.
Questi edifici in buona parte abbracciano la parrocchiale di S. Giovanni Battista,
nascondendola così alla vista diretta. La chiesa, peraltro, nasce dalla trasformazione di uno
xenodochio voluto dall’Arcidiacono Pacifico (776/78 – 845), illustre longobardo
nato a Quinzano, vissuto al servizio dei Franchi, che venne successivamente ampliato
fino alla trasformazione più significativa del 1790-91 a opera di Luigi Trezza
con volumi che ne esaltano la presenza all’interno del borgo.
Sempre del periodo dell’Arcidiacono Pacifico è la realizzazione di due chiese al di fuori
dell’abitato e collocate in spazi aperti per la loro particolare funzione.
La prima, alla base della collina, è una chiesa costruita in
forme massicce e dedicata a Sant’Alessandro, ma in seguito alla peste del 1478/80
dedicata a San Rocco. Divenne motivo di processione votiva dei
cittadini che partivano da San Giovanni in Valle nel giorno del 16 agosto di
ogni anno, giorno dedicato al santo francese, in segno di ringraziamento per
essere scampati alla epidemia. La robustezza dell’edificio dà il senso
di fortezza, solidità e protezione divina. L’accesso all’ingresso è laterale
mediante una scala in pietra che porta allo zoccolo di roccia su cui è
realizzato l’edificio, raccolto e recintato naturalmente da rocce e piante per
concedere al fedele l’elevazione al luogo di salvezza spirituale.
Sulla sommità della medesima collina invece, immersa tra gli ulivi, sul luogo
dove si trovava il sacello dell’eremita – vescovo Sant’Alessandro, venne
costruita una chiesetta, denominata attualmente San Rocchetto.
Legata ai pellegrini reduci dalla Terra Santa, la piccola chiesetta
ha architettura semplice e molto ben inserita nel panorama.
Presenta un portico molto arioso e dalla sommità si può godere del
silenzio e della pace di un luogo di raccoglimento inserito nella
vegetazione e nelle rocce che abbracciano la città.
Proprio da questa posizione sul “monte Cavro”,
storpiatura di Calvario, si può osservare quanto anche le nuove
costruzioni abitative abbiano cercato di mantenere fede al
senso dell’antico insediamento.
I muri in pietra e sasso dialogano con le terrazze costruite sulle
colline che servono alla coltivazione dell’olivo, abbondante già in epoca
romana e che permise un’intensa attività agricola.
Gli stessi muri mantengono anche uno stretto rapporto con
il tufo estratto dalle cave a nord del borgo e che scendeva dalla strada
principale con i carrettieri che lo trasportavano in città.
Nella tradizione locale proprio questi lavoratori sono ricordati
dalla maschera carnevalesca tradizionale del borgo detta “el Barossier” che va
a braccetto con l’altra figura – Attila – da cui sembra discendere la leggenda
che vuole questi barbari accampati nelle vicinanze dato il toponimo del Monte
Ongarine qui presente.
Sempre i medesimi muri contengono – e talvolta formano
– la struttura medievale delle vie e delle case che
possedevano poche corti, ben fortificate, alle quali si accedeva
tramite passaggi e arcate in tufo.
L’atmosfera che si respira passeggiando e osservando
l’abitato di Quinzano è quella di una zona inglobata nella municipalità
cittadina, ma con un suo proprio spirito e una personale decisa autonomia.
Nonostante il confine tra i quartieri urbani di Pindemonte
e Ponte Crencano sia quasi annullato, la linea di demarcazione è presente
perché il borgo resta a margine della rete viaria per Trento ed è necessaria
una deviazione volontaria dalle strade principali per raggiungerlo.
Grazie alla tranquillità, solarità e spazialità che questo splendido
ambiente naturale e culturale offre, si è venuta a creare una forte richiesta
di edifici residenziali che mettono a dura prova il sistema presente.
E’ da ritenere che solo mediante delle costruzioni ben integrate per architettura
e colore, nonché rispettose dell’ambiente in cui vengono inserite e delle tradizioni
locali sia possibile mantenere lo spirito del luogo.
Un’ultima incognita grava sulla serenità di questa zona:
una grande opera allo studio del Comune di Verona per ridurre il flusso di
automezzi che attraversano la città. Riguarda lo scavo interno ed esterno delle
colline da est a ovest della città per realizzare una via a scorrimento veloce e un
tunnel che dovrebbe sboccare proprio in prossimità del borgo di Quinzano.
L’ipotesi allo studio permetterebbe il trasferimento di un numero pari a circa
43.000 veicoli al giorno in maniera più snella e veloce.
A tale proposito si ritiene quanto mai necessario valutare con attenzione
l’impatto ambientale, non solo per quanto riguarda la percezione visiva
che verrebbe deturpata o quella uditiva dei residenti, ma soprattutto la stonatura
che si verrebbe a produrre in questa sinfonia musicale che è ancora il borgo di Quinzano.
Il bilancio ambientale tra i vantaggi per il traffico cittadino e le perdite visive
della zona dovrebbe essere considerato e magari cercate soluzioni alternative per un
miglioramento globale della situazione.