Monti Picentini: la prima Alta Via del Mezzogiorno

Fra il giugno ed il dicembre 1984 mi trovo partecipe di una intensa esperienza che ha per teatro d’azione i monti dell’Appennino della Campania. Un cliente della nostra scuola d’arrampicata, il professor Fabrizio Braccini, ci mette in contatto con la Pro Loco di Acerno, piccolo borgo dell’entroterra fra Salerno e Battipaglia, annidato nei Monti Picentini. Anche sotto suo consiglio, la Pro Loco, guidata da Donato Vece, ha in progetto di creare una Alta via dei Picentini.

 

«Perduti! Clamorosamente perduti in questi boschi che sembrano senza fine.»

Era solo il primo giorno di lavoro e già si rischiava di lasciare a metà la segnalazione del sentiero. Eravamo scesi nei Picentini un po’ troppo sicuri di noi stessi e ora pagavamo la nostra superbia. Avevamo delle vecchie carte IGM al 25.000 e su di esse Fabrizio aveva tracciato i percorsi che avremmo dovuto segnalare. Una rapida occhiata ci fece decidere che tutto il lavoro si poteva fare in pochi giorni, ma allora non sapevamo ancora niente di quei monti.

 

Lasciato il litorale campano fra Salerno e Battipaglia entrammo nella terra che una volta fu regno dei briganti seguendo una strada tutta curve che si immerge nel verde di ombrosi valloni e conduce ad Acerno, la nostra base operativa. Il giorno successivo ci vide subito all’opera nel tentativo di aprire il sentiero n. 1, quello che da Volturara Irpina sale al Monte Terminio.

 

Un facile inizio portò a una strada carrozzabile che percorremmo per circa due chilometri; al suo termine ci immergemmo nel fitto bosco. Un vallone sulla sinistra sembrava coincidere in qualche modo con la lettura della carta. Forse eravamo sulla strada giusta e la debole traccia sul crinale che stavamo percorrendo era abbastanza incoraggiante.

 

Ogni dieci metri circa entrava in funzione il pennello e un nuovo segnale arancione indicava il progresso verso l’ignoto. «Se non altro – scherzava Giulio – tutti quei segni ci serviranno per poter tornare indietro quando ci perderemo come Pollicino.»

 

Tutto andò per il meglio fin quasi sotto la cima dove il sentiero si perse e dove, ad aumentare le difficoltà, trovammo la neve che già più in basso, riempiva alcuni canaloni: il fitto fogliame della faggeta impediva al sole di sciogliere il manto indurito e quasi gelato, ma certo non avremmo mai immaginato che in giugno, a soli 1500 metri e per di più nell’Appennino meridionale ce ne fosse ancora un buon metro.

 

Senza sentiero e senza direzione, dal momento che la neve copriva ogni eventuale segno di passaggio, in mezzo alla fittissima selva, eravamo proprio nei guai.

 

Per più di un’ora, cercammo a destra e a sinistra, tentando di uscire dall’impasse. Dei sentieri segnati sulla carta e che avrebbero dovuto trovarsi nelle vicinanze, non c’era neppure l’ombra. Anni di abbandono e migliaia di foglie li avevano inghiottiti e riportati alla pendice del monte.

 

Eravamo alla disperazione: cosa avrebbero detto le tronfie guide del Nord a chi, fidandosi di loro, sperava di creare l’Alta Via dei Picentini?

 

Fortuna volle che il “vecchio” Giulio potesse scoprire su un tronco uno sbiadito segno giallo e blu che iniziava proprio nei pressi del punto dove avevamo perso ogni traccia. Seguendo i bolli antichi e apponendo i nostri nuovi riuscimmo ad arrivare alla stupenda conca erbosa che sta fra le vette del Terminio. La neve finiva, per lasciare il posto ad un verdissimo prato punteggiato da migliaia di viole e da altri fiori di alta quota.

 

Dalla vetta di destra la vista era estesissima e sotto di noi potevamo scorgere Volturara e il verde tavolato carsico della Piana del Dragone. Nei nostri giri molte altre volte avremmo visto quei magnifici piani carsici che interrompono un po’ ovunque la continuità del bosco e contribuiscono a fare dei Picentini il più importante bacino idrografico del Meridione.

 

Ma questi piani non costituiscono certo un problema per il camminatore, mentre tutta la complessa rete di vallette e valloni, creste e cime è un vero labirinto.

 

Dopo aver rischiato il bivacco sulla SS. del Terminio, raggiunta finalmente dopo ore e ore di marcia, e dopo esserci riposati a San Sossio, il giorno seguente segnammo un sentiero che, partendo dal paese porta anch’esso al Terminio.

 

Secondo il nostro progetto avremmo dovuto ricollegarci al tracciato del giorno prima in un punto preciso, in mezzo al bosco, dove si trovava una sorta di incrocio marcato da un vecchio ceppo di faggio. Ancora una volta, si partiva senza la certezza di dove si sarebbe andati a finire. Sapevamo che un sentiero avrebbe dovuto esserci, ma in un bel tracciato, chiaro e non infestato da vegetazione, c’era poco da sperare.

 

Fortunatamente all’inizio dell’avventura trovammo un rude conducente di mulo che stava salendo più o meno nella nostra direzione. Interrogato, ci spiegò che ormai sul monte non c’era più niente o quasi, che i sentieri erano abbandonati e a sua volta ci domandò perchè mai facessimo tanta fatica per ritrovarli visto che nessuno li percorreva. La nostra risposta di certo non lo convinse molto.

 

Sotto un sole implacabile salimmo con il nostro amico lungo un sentiero quasi coperto dal verde. Arrivati alla mulattiera principale, ci separammo e uomo e mulo salirono verso una ignota destinazione. Noi prendemmo la splendida mulattiera lastricata, a tratti, con blocchi di marmo, e spesso fiancheggiata da bellissime orchidee maculate. Tutto sommato sembrava che questa volta si andasse molto meglio. E invece la mulattiera terminò quasi improvvisamente e noi fummo di nuovo nei guai, cercando un itinerario decente che ci portasse più in alto.

 

Fu lassù che dal nulla ricomparve il nostro mulattiere che, quasi come il buon genio delle fiaba, ci soccorse, dandoci l’indicazione decisiva per proseguire: «Seguite quel tratto infestato di erbacce e sbucherete su un’area disboscata. Oltre quella troverete il vecchio sentiero per Volturara, seguitelo che per pochi metri e potrete imboccare la deviazione per Colla Castagno». Girato il mulo il genio se ne andò inghiottito dalla foresta e noi, dopo vari tentativi, riuscimmo a riprendere la marcia sul sentiero esatto.

 

Procedendo la faggeta si faceva sempre più fitta e imponente, ma la mulattiera “teneva” e riuscimmo ad entrare in un tratto di bosco che aveva qualcosa di familiare. Erano circa sei ore che segnavamo quel sentiero sperando di arrivare al sospirato incrocio oltre il quale saremmo tornati a Volturara per riprendere il furgone. Sei ore passate col naso incollato alla carta topografica, ma gli occhi attenti anche a splendidi luoghi ove il ricordo dell’uomo si era perso da anni. Alla fine la nostra pazienza fu premiata: al limite della fustaia sorse improvvisamente il ceppo rinsecchito che segnava idealmente l’incrocio.

 

Per la prima volta provammo una gioia che non era quella della vetta o del superamento di un difficile passaggio, ma quella della semplice soddisfazione di aver ritrovato quel punto, dopo ore di cammino alla cieca e della certezza di aver compiuto interamente la prima e forse più difficile parte dell’opera. Non la gioia dell’alpinista, ma quella dell’esploratore e del pioniere.

 

I giorni successivi furono anch’essi dedicati all’improba lotta contro muri di vegetazione, seguendo tracce e cercando di costruire un itinerario bello e agevole.

 

Ci muovemmo dapprima nel settore dei piani carsici del Terminio, quello dei Picentini occidentali, caratterizzato da forme più aspre e decise. Poi lentamente, segnando sentiero dopo sentiero ci collegammo al cuore del gruppo raggiungendo, attraverso la cima dell’Accellica (1660 m), la grande faglia ove scorre il Tusciano.

 

L’Accellica è forse la più ricca di storia fra le montagne dei Picentini. Si tratta di un’escursione un po’ impegnativa con alcuni tratti di roccia che, seppure facili, richiedono attenzione. Fra le scure rupi pare si andassero a nascondere i briganti della banda Manzo di Acerno, quando da queste parti sciamavano le squadre dei carabinieri in battuta.

 

Non trovammo le grotte e i cunicoli dei briganti e neppure quel canyon che, si diceva, attraversavano con una pertica che poi veniva tolta per impedire ai gendarmi di raggiungerli.

 

Tuttavia fra la nebbia impalpabile che ogni mattina incappucciava la vetta, sorgevano magnifiche e spettrali visioni che rendevano tutto misterioso e affascinante.

 

Sotto l’Accellica sta Acerno, il piccolo paese che per la sua posizione può essere a ragione considerato la capitale del gruppo montuoso. Il collegamento fra Acerno e l’Accellica lo facemmo tentando di ripetere il sentiero percorso dall’intellettuale alpinista Giustino Fortunato, nel corso della sua ascensione alla vetta.

 

Purtroppo l’intrico delle nuove strade, i disboscamenti e le tracce lasciate ovunque dal bestiame ci resero la vita impossibile e di certo il vecchio sentiero non fu percorso che in parte. A tutto ciò bisogna aggiungere che Fortunato nel suo L’Appennino della Campania (1884), non è certo stato prodigo di informazioni al riguardo.

 

Tuttavia collegando i vari tracciati ne uscì un itinerario molto interessante. Si inizia dalle rovine della terremotata e sfortunata chiesa di San Donato, passando poi fra i piccoli orti di Acerno. Per i pascoli e i boschi della Serra San Donato, si perviene infine alla grande cresta sommitale.

 

Oltre Acerno, verso Sud, la nostra fatica si concluse con la memorabile traversata del Polveracchio (1790 m) che, con una spettacolare cavalcata, ci portò fino a Senerchia. Per la sua posizione il Polveracchio è forse la più panoramica vetta dei Piacentini orientali. Dalla sommità lo sguardo spazia fino al golfo di Napoli a Nord e al Pollino verso Sud. La sua cresta, quasi totalmente libera da piante è un giardino fiorito dove si trovano numerose specie di fiori rari. Per più di un’ora camminammo fra orchidee gialle (orchis pallens) e viole che ci accompagnarono fino alla vetta.

 

Al termine di dieci giorni passati fra questi monti non potevamo che restare stupiti da ciò che avevamo visto, dalla natura ancora spesso incontaminata che si trova in molte zone, dalla particolare bellezza della caotica orografia.

 

Nonostante il sudore, le faticacce, la rabbia per i sentieri quasi introvabili, ci eravamo innamorati dei Piacentini e certo saremmo tornati per finire con due trasversali la nostra Alta Via.

 

Dicembre 1984.

 

Eccoci ancora ad Acerno per concludere. Il tempo non è dei più favorevoli, ma vogliamo iniziare subito il lavoro anche perché abbiamo solo sei giorni di tempo prima di tornare a casa, richiamati da altri impegni.

 

L’inverno è già sceso sui monti, i faggi formano una grigia patina che ricopre le pendici e i rigagnoli più magri d’acqua sono già ghiacciati.

 

In mezzo a un nebbione fittissimo tracciamo la prima trasversale, quella che dal Montagnone di Nusco (1493 m), attraverso il Cervialto (1809 m), arriva ad Acerno. Due giorni di umidità continua, ma senza pioggia, hanno fatto da preludio a quella che si è rivelata la nostra più bella giornata fra i Picentini: quella che passammo sui Mai. Infatti, dopo la prima trasversale toccava ora al collegamento fra i Monti Mai (1607 m) e l’Accellica.

 

La lunga cresta dei Mai è veramente stupenda e offre il più bell’itinerario della zona anche se richiede attenzione sempre desta. Si tratta di una lunghissima camminata che si sviluppa per oltre 12 chilometri sul crinale di una cresta prevalentemente rocciosa.

 

L’alba è stata stupenda con il sole radente che creava un magico gioco di luci fra le rocce e le piante mentre verso la piana di Battipaglia lievi nebbie iridescenti entravano dal mare facendo emergere ogni rilievo come fosse un’isola.

 

Ora il sole ha compiuto il suo cammino e assieme a lui noi ci avviamo alla fine del nostro. Di fronte il Terminio mostra tutto il suo possente versante meridionale. Rocce e pilastri sporgono da quella gigantesca ferita del monte che è il Vallone Matrunolo. A sinistra del vallone, una strada porta alla grotta dell’eremo di San Salvatore: sembra l’unica via d’accesso anche a quelle pareti che appaiono quasi inavvicinabili.

 

Mentre la luna sorge dal Varco del Faggio e il sole appena tramontato colora di rosa il Terminio noi ripartiamo dalla chiesa di San Michele dopo esserci un poco riposati.

Certo non si poteva sperare una conclusione migliore per la nostra fatica e per l’Alta Via dei Monti Picentini.

 

NATURA SENZA BARRIERE – Invisibili tra gli Invisibili, i Disabili

Invisibili tra gli invisibili i disabili, nella lunga quarantena da Covid, hanno subito un ulteriore abbandono in quell’angolo buio della società che oscilla tra dimenticanza ed oblio. Uno dei motivi che mi rende orgoglioso di essere il presidente della FederTrek è la presenza di soci ed associazioni che dedicano la propria attività di volontariato a dare luce e presenza al mondo della disabilità.

Tra i pensieri che si sono succeduti in questa crisi epocale, che ci ha tolto gli orizzonti temporali più prossimi, c’è  stato quello verso le mille fragilità sociali ed individuali colpite doppiamente.

Oggi che si inizia  a parlare di una ripartenza, del nostro tornare a fare capolino sul mondo per noi escursionisti la gioia più grande è il poter tornare a camminare nella natura, a godere di una primavera esplosa in mille colori e profumi, dopo il lungo riposo dall’invadenza umana.

Mi piace pensare che il nostro tornare a calpestare i sentieri non lasci indietro chi vive la sua esistenza in uno stato di disabilità permanente. In FederTrek c’è chi di questa dimensione inclusiva legata alla pratica escursionistica ne ha fatto una ragione profonda del proprio impegno sociale e da questa sensibilità sono nate iniziative come “Insieme si Può”.

Ma c’è anche un altro appuntamento molto importante che vogliamo mantenere con forza, a meno che non venga esplicitamente vietato causa altre chiusure, si tratta della manifestazione NATURA SENZA BARRIERE, un evento che si sviluppa su due giornate a cui possono partecipare associazioni, enti, istituzioni che propongono la loro attività “senza barriere” in un contesto naturale.

Nelle passate edizioni c’è stata una partecipazione molto importante di Enti Parco che hanno voluto riservare una particolare attenzione al tema dell’escursionismo per tutti.

Quest’anno “Natura Senza Barriere” deve assumere per la FederTrek, che fa della promozione del camminare un vero progetto culturale, un significato ancora più profondo. In questo periodo di lunga quarantena tra le tante parole d’ordine c’era il “si vince insieme”, perché nessuno può farcela da solo.

Se a quel pensiero solidale della necessità di farcela insieme, che vuol dire non lasciare indietro nessuno, vogliamo dare un senso profondo per noi escursionisti il progetto “Natura Senza Barriere” deve assumere un valore strategico. Il caro Pietro Scidurlo mi pungola spesso quando parliamo della promozione dei Cammini per evitare che il tema dell’accessibilità cada nel dimenticatoio.

FederTrek ha due progetti nazionali che la caratterizzano in modo particolare: la Giornata Nazionale del Camminare e Natura Senza Barriere. In questo 2020, segnato da una crisi epocale, il nostro ruolo sulla promozione del camminare come stile di vita quotidiano e come fruizione consapevole e responsabile dei sentieri, non può che unirsi, in una dimensione solidale con il tema dell’accessibilità. Abbiamo davanti a noi una grande sfida da raccogliere e che ci può caratterizzare alleandoci al vasto mondo dell’escursionismo basato sul volontariato, quella di aiutare la transizione verso una società più sostenibile ed inclusiva e di conseguenza più in salute, secondo quelle che sono le indicazioni dell’OMS. Lo stato di salute non è assenza di malattia ma un più generale benessere psico-fisico, sociale ed ambientale e noi che cerchiamo questo benessere nel camminare a contatto con la meraviglia dei paesaggi naturali non possiamo dimenticare chi quel benessere lo può vivere solo se al suo fianco ha braccia e cuore da donare.

http://www.federtrek.org/?p=3868

AIGAE e CIPRA insieme a difesa delle Alpi

In data 16 maggio 2020, l’assemblea CIPRA Italia, ha accolto favorevolmente la domanda di adesione da parte di AIGAE.

La richiesta di adesione curata dal direttore AIGAE Nino Martino, firmata dal Presidente Davide Galli per AIGAE e da Vanda Bonardo, Presidente di CIPRA Italia, sancisce il reciproco riconoscimento tra il mondo delle guide professioniste che si rivolgono al mercato del turismo ecosostenibile nel territorio alpino ed alla sua tutela ed integrità.

Cipra è un’organizzazione non governativa, autonoma e senza scopo di lucro che si impegna per la protezione e lo sviluppo sostenibile delle Alpi fin dal 1952. Ha rappresentanze in sette Stati alpini e conta all’incirca 100 organizzazioni e istituzioni aderenti. Grazie alla costruzione di questa importante rete, promuove e propone soluzioni ai problemi e alle sfide attuali verso un futuro sostenibile ed ecologico del territorio alpino. È proprio grazie alll’operato di CIPRA, che viene redatta la Convenzione delle Alpi: un trattato internazionale vincolante firmato dagli stati alpini nel 1991.

Cipra rappresenta persone e organizzazioni che si impegnano per la vita nelle Alpi, esercita pressione a livello politico, economico ed amministrativo con collaborazioni in istituzioni di rilevanza politica.

E’ in grado di comunicare in più lingue, creando una fitta rete organizzativa e di collaborazione, per coinvolgere in modo efficace esperti, istituzioni e giornalisti interessati alle Alpi e per promuovere progetti che siano da esempio.

Cipra difende le Alpi, rispettandone bellezza e varietà: le Alpi sono di grande importanza per tutta l’Europa in quanto spazio ricreativo per turisti e riserva di risorse vitali quali acqua, foreste e biodiversità.

Si impegna concretamente perchè la vita delle Alpi possa essere attrattiva e conveniente anche per le generazioni future, tutelandone ambiente naturale equilibrato e paesaggio intatto con una politica a difesa della ecosostenibilità.

Aigae, come Associazione di categoria, riconosciuta dal Ministero dello Sviluppo Economico, rappresenta a livello nazionale, ai sensi della legge 4/2013, tutti coloro che per professione accompagnano in Natura. AIGAE, tramite l’opera di divulgazione promossa dalle Guide Ambientali Escursionistiche, si fa promotrice del Turismo Ambientale, dell’educazione scientifica e culturale, ponendosi come obiettivo la preservazione dell’ambiente naturale, la diversità biologica, i processi ecologici essenziali e la ricerca di un nuovo equilibro tra uomo e natura.

AIGAE e Cipra, da oggi insieme per la protezione e lo sviluppo sostenibile dell’arco alpino, il primo passo questo, di lungo un percorso comune in cui le guide AIGAE costituiranno il grande valore aggiunto, tramite la loro opera di divulgazione scientifico culturale volta alla sensibilizzazione dei cittadini, a tutela del territorio, in tutta la sua biodiversità, con un occhio di riguardo alla protezione del clima, alla mobilità, al consumo di risorse. Riteniamo questo accordo di fondamentale rilievo: l’arco alpino rappresenta uno spazio vitale economico e ricreativo di importanza europea, ma sono necessari cambiamenti sociali, nuove vie e combinazioni per la promozione dello sviluppo sostenibile.

Da oggi, al fianco di Cipra, a protezione delle Alpi.

Vi invitiamo a consultare la pagina https://www.cipra.org/it

Potete trovare questo e tutti i protocolli d’intesa firmati da Aigae, al seguente link:

https://www.aigae.org/chi-siamo/collaborazioni-protocolli-dintesa/

 

La pozzanghera e i girini

Da qualche anno vivo in una casa nelle colline a sud di Reggio Emilia. Lavoro a scuola e mi sposto in macchina tutti i giorni per raggiungere la sede.
La quarantena è arrivata a fine febbraio e si è imposta un po’ alla volta ma in modo inesorabile: prima una settimana di chiusura delle scuole, poi 2, poi un mese, poi…… scadenza indefinita. Lezioni on line, riunioni in videoconferenza, spesa saltuaria, anche quella spesso on line…   Non sono più uscita dal piccolo borgo in cui vivo, ma…. le passeggiate non mi sono mancate. Essendo luoghi poco frequentati, sospesa la caccia, vietati il ciclismo su strada e su pista, nonché l’escursionismo dalla città, ho potuto viaggiare nel piccolo mondo che mi circonda. Luoghi che avevo già frequentato si sono aperti al mio sguardo con una luce nuova, diversa: colori, sfumature, cambiamenti graduali della stagione, suoni e rumori di animali colti nella loro quotidianità….e una pozzanghera, una banale chiazza umida nei pressi di un torrente. In altri tempi l’avrei forse ignorata, avrei tirato dritto nella fretta di arrivare alla mia meta e rientrare entro i tempi stabiliti per mantenere il ritmo quotidiano…. invece ora vedo, osservo, scopro: ammassi gelatinosi giallognoli e verdastri galleggiano nel piccolo specchio d’acqua. Uova. In alcune si intravedono piccole sagome nere, embrionali. Future rane…forse.

Da allora ogni giorno torno alla pozzanghera. I girini sono nati e nuotano veloci, ma non piove e rischiano di disidratarsi insieme alla pozzanghera. Così quasi tutti i giorni, muniti di sacchetti e annaffiatoi, camminiamo per raggiungere il nostro microcosmo acquatico e versarvi secchiate d’acqua. Le nostre passeggiate ora hanno uno scopo: mantenere la vita in una pozza d’acqua.

Il gracchiare delle rane accompagnerà le serate estive che verranno… e non avremo camminato “a vuoto”.

Elena e Tarsicio