Una ventina di anni or sono in una guida del Club alpino svizzero trovai un capitolo di ben sei pagine intitolato “Le zecche e gli uomini”. La cosa mi parve tipicamente… svizzera e pensai che solo loro potevano occuparsi del pericolo insito nella puntura di quello che ritenevo un orribile ma innocuo insettino. È passato molto tempo e girovagando fra i monti qualche zecca me la sono presa pure io senza troppo preoccuparmi. «Cosa vuoi che sia – mi dicevo – la prendi, la togli e via». Chissà perché, pensavo che le zecche di montagna fossero in qualche modo più “pure” di quelle di fondovalle, dove girano topi e altri animali meno nobili del cervo e del camoscio. In parte non avevo torto perché fino a non molti anni or sono le zecche scomparivano sopra i 1200-1400 metri, ma oggi, con le temperature in aumento è accresciuta anche la loro diffusione altitudinale.
Il ciclo vitale dell’acaro, perché di questo si tratta, parte dall’uovo da cui nasce una microscopica larva che attende il suo ospite fra gli strati bassi della vegetazione. Una volta trovato un animale ospite la larva si nutre del suo sangue e poi si lascia cadere a terra avviando la metamorfosi che la porterà allo stadio di ninfa. Anche la ninfa è affamata di sangue e, riposizionandosi sulla vegetazione, attenderà un altro ospite che la sazierà; poi cadrà a terra trasformandosi in adulto (maschio o femmina), per riprodursi e ricominciare il ciclo.
Il primo anello della catena è dunque proprio l’acaro che, succhiato il sangue infetto, propaga il contagio dalla larva fino all’individuo adulto. Sfortunatamente è persino possibile che la femmina infetti le sue stesse uova, moltiplicando esponenzialmente il numero di soggetti pericolosi. Due sono le principali malattie trasmesse dal morso contaminato: il virus dell’encefalite da zecca e la malattia di Lyme, dovuta a un batterio, la Borrelia Burgdorferi, scoperto nel 1981. Quest’ultima infezione, se non contrastata in tempo, può portare a gravissimi disturbi neurologici e persino alla morte. Alle prime due si associano spesso co-infezioni prodotte da altri germi: bartonella, babesia, ricketia, erlichia, anaplasmi. Purtroppo in Italia non ci sono test diagnostici specifici e le linee guida terapeutiche non tengono conto delle co-infezioni che sono spesso di origine protozoica e quindi resistenti agli antibiotici generici.
L’aumento delle segnalazioni circa i morsi da zecche infette mi ha ricordato quel che lessi su quella guida; ma ad allarmarmi ancor più è stata la vicenda della figlia di una mia cara amica. Per questo motivo, pur essendo l’argomento poco piacevole, ho deciso di scrivere questo articolo a titolo informativo perché gli escursionisti sono fra i soggetti più potenzialmente esposti al pericolo. Forse la ragazza fu punta fra i capelli, zona ove è difficile verificare, o forse, come in altri pazienti, l’eritema migrante ad anello, che sovente indica il morso di una zecca, non comparve. Poco tempo dopo si manifestarono le prime avvisaglie: spossatezza, dolori articolari, emicranie, tremori. Inizialmente si pensò a qualche forma di grave influenza, ma col passare del tempo questi sintomi si acuirono. L’assenza di palesi segni indicatori di una infezione da Borrelia orientò i medici verso le solite diagnosi e la successiva comparsa di gravi crisi nervose, simili a quelle epilettiche, e di stati allucinatori spinse qualche specialista a decretare che la ragazza soffrisse di un disturbo mentale. Intanto l’infezione si impossessava pian piano del sistema nervoso aggravandosi di giorno in giorno senza che alcuno avesse una spiegazione. Finalmente, all’ennesima gravissima crisi, un neurologo più scrupoloso pensò di praticare una rachicentesi alla paziente, scoprendo la causa di tanta sofferenza. Il lungo calvario della giovane, che da anni convive con la Lyme, è costellato di dolore e speranza in un continuo e straziante altalenarsi: medicinali sempre più costosi perché molti non sono reperibili nel nostro Paese, viaggi della speranza che dall’Italia si spostarono nelle nazioni dove più avanzata era la ricerca medica. Il caso è purtroppo fra i tantissimi che ormai interessano tutto l’emisfero settentrionale. Del resto basta dare un’occhiata alla mappa che indica la diffusione dell’epidemia per rendersi conto dell’estensione del fenomeno. Ora, sebbene con grave ritardo, si stanno prendendo i primi provvedimenti e nel 2018 un gruppo di deputati ha posto la questione al Parlamento europeo: è essenziale che tutta la popolazione sia informata, i medici in particolare.
Questa incompleta narrazione mostra solo parzialmente il problema e, pur nella sua crudezza, rimando a questo filmato. Come ho scritto le cose stanno cambiando e già in molte nazioni, come in alcune nostre regioni, è possibile per lo meno vaccinarsi contro il virus dell’encefalite. Come del resto si sospetta per il Covid, buona parte della diffusione del morbo è ascrivibile al comportamento umano, al riscaldamento globale dovuto per lo più al nostro sistema produttivo, al consumo sempre crescente di carne, alla conseguente riduzione delle foreste, alla sempre maggiore interazione fra uomo e ambiente naturale.
Naturalmente ciò non deve farci abbandonare le nostre amate montagne, le gite, le scalate: possiamo difenderci da questa insidia. Intanto durante escursioni in prati o foreste indossiamo sempre abbigliamento chiaro, pantaloni lunghi, magari anche un copricapo, e cerchiamo di attenerci al sentiero, infine spruzziamo un repellente sulle parti nude. Sostiamo possibilmente in zone con erba bassa o su affioramenti rocciosi. Una volta a casa è buona norma una auto ispezione verificando anche i punti più nascosti del corpo. In caso si trovi una zecca la cosa migliore sarebbe farsela togliere al pronto soccorso. Esistono però dei kit con pinzetta, spray paralizzante e disinfettante per intervenire personalmente, ma in questo caso si faccia attenzione: è importantissimo che l’acaro sia asportato interamente. Agendo di fretta si rischia di lasciare il rostro nella pelle. Non coprite la zecca con olio, o altre sostanze, la si irriterebbe solamente con conseguente liberazione di maggiore saliva. Il metodo più semplice è quello di paralizzare l’animale con lo spray, toglierlo con la pinzetta e quindi disinfettare; al termine dell’operazione la zecca va bruciata. Anche dopo questa procedura tenete sotto osservazione la zona interessata almeno per un mese, segnando la data di asportazione del parassita e controllando l’eventuale comparsa dell’eritema ad anello anche se non sempre si manifesta. Portate il parassita all’Istituto Zooprofilattico più vicino per un’analisi che escluda l’eventualità che sia infetta. Per una indagine sierologica è bene sapere che il test Elisa per evidenziare gli anticorpi Borrelia è di scarsa attendibilità, meglio fare subito il test Wester blott in laboratori attrezzati. Controverso è l’immediato ricorso ad antibiotici perché potrebbero mascherare alcuni sintomi e complicare la diagnosi; alcuni consigliano anche una vaccinazione antitetanica.
Possiamo anche provvedere ai nostri amici a quattro zampe che spesso ci accompagnano nelle passeggiate: la migliore protezione sono gli appositi collari che hanno un’efficacia di circa otto mesi coprendo l’arco temporale fra primavera e tardo autunno in cui le zecche sono più attive.
In Italia è attiva anche l’Associazione Lyme Italia che fornisce informazioni e assistenza ai malati e alle famiglie.